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Pensare negativo

Editoriale di Marzo.

 

Mentre osservo inebetito il referto del quarto tampone positivo, un caro amico mi scrive: “L’augurio di essere negativi è il semantico effetto perverso dei tempi che ci è dato vivere”.
La mia speranza ha a che fare con il pensiero negativo.

Cominciamo dal libro che sto leggendo: La sesta estinzione di Richard Leakey e Roger Lewin. Immagino sia chiaro chi siano i protagonisti del libro. Almeno fino all’arrivo della sesta estinzione.

Deforestazione. Sconvolgimenti climatici. Distruzione degli ecosistemi. Perdita della biodiversità. Gas serra. Polveri sottili. Maree nere. Tasso di acidificazione degli oceani (Atlante dell’Antropocene di Francois Gemenne e Aleksandar Rankovic).
Troppo facile, vero? Queste cose le sanno tutti. Ora viene il bello.

Secondo la rivista Nature le cose create dall’uomo hanno superato in peso la biomassa (a secco) del pianeta. «La somma degli oggetti umani ha pareggiato tutta la vita messa insieme» (Telmo Pievani). E tutte le cose umane hanno raggiunto il peso di mille e cento miliardi di tonnellate.

Van Gogh dipinge nel 1887 quella che, credo, si possa ritenere la sua opera più evocativa e sacra e la intitola Un paio di scarpe: «Intorno a quel paio di scarpe da contadino non c’è nulla di cui potrebbero far parte, c’è solo uno spazio indeterminato (…). Un paio di scarpe da contadino e null’altro. Ma tuttavia… Nell’orificio oscuro dall’interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nella (…) calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell’umidore e dal turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messe matura e il suo oscuro rifiuto nell’abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il tremore dell’annuncio della nascita, l’angoscia della prossimità della morte». (M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri Interrotti, trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968).

Per Van Gogh nelle cose c’era la natura. Ora nella natura ci sono le cose. E restano lì, senza alcuna funzione.

Ma per dirla tutta: il luogo della verità, il centro, non è nelle cose, ma intorno ad esse. Grazie a ciò che sta intorno alle cose potremmo tornare a sentire la vita di chi le ha abitate. Soprattutto adesso che, a causa della pandemia, nessun rito è stato possibile celebrare in onore dell’essere umano che ha abbandonato il mondo.

Oggi mio figlio di cinque anni, dopo il quarto tampone positivo, mi ha detto che il mondo fa schifo.

Mi ha colpito molto la sua vocazione nietzchiana. Il suo ergersi sulle rovine del nostro martoriato Pianeta ed esclamare, senza più paure né speranze: il mondo fa schifo.

Per un attimo mi sono sentito fiero di lui: a cinque anni ha già capito tutto: l’esistenzialismo, lo spleen , il decadentismo… Poi però ho pensato negativo e mi sono detto: questo pensiero batte in negatività tutte le nefandezze compiute dall’uomo dai tempi dell’Olocene.

Oggi, in pieno Antropocene (o Novacene), sento stranamente che proprio da questo schifo dovremmo ripartire. E farlo nostro. Lo schifo è un pensiero negativo.

Scrive Adriano Favole (ospite anni fa del nostro Festival): «un amico ornitologo mi spiega che gli aironi bianchi e tutta la famiglia degli ardeidi sono ghiotti di molluschi. E che le cozze di fiume, rare da noi, sono (…) formidabili purificatori di acque». Ed ecco che in mezzo ad un fiume inquinato, tra le cose dell’uomo (lavatrici, buste di plastica impigliate tra le piante, lattine che galleggiano nella sabbia melmosa) appare un airone che risale il corso d’acqua. E pesca le cozze di fiume.

Intorno alle cose dell’uomo, la natura ancora resiste e si adatta, sopravvive, e mostra, incredibilmente, migliaia di cozze purificatrici.

Quindi, pensando negativo, si può coltivare la speranza. Per riscoprire l’immenso cielo del principe Andrej che lo riempie di quiete prima della morte. Per scongiurare una sesta estinzione sempre più vicina, e andare verso un nuovo paradigma terrestre.

Biografia

Daniele Zepparelli. Nato il 2 giugno 1978 a Marsciano (PG). Laureato in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze della Formazione Primaria. Maestro di scuola primaria. Socio fondatore di Techne, azienda che si occupa di energie rinnovabili. Ideatore e organizzatore dell’Umbria Green Festival, evento che si svolge ogni anno tra Terni e Narni. Pubblicazioni: Il triste valzer di Mefistofele. Saggio. Secondo al concorso letterario nazionale Premio Città di Castello.

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