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Verde. La storia del colore simbolo della sostenibilità ambientale e dell’ecologia moderna

Le nostre “speranze verdi” per il futuro avrebbero potuto tingersi di un altro colore? Che domanda! Il verde è ormai, e senza alcun dubbio, il colore della moderna sensibilità ecologica. Tuttavia il blu avrebbe avuto tutti i titoli per esserlo. In fin dei conti due terzi della Terra sono coperti d’acqua e il ruolo di questo elemento nel mantenimento della vita è altrettanto determinante quanto quello delle piante (che dall’acqua dipendono). E poi, non è pur vero che dallo spazio il nostro pianeta appare una sfera più blu, anche se screziato, che verde? «L’ecosistema offre un’intera tavolozza di sfumature organiche, dalla quale noi abbiamo scelto il verde, il colore del regno vegetale, per rappresentarle tutte, e per fargli incarnare le nostre speranze nella sopravvivenza del pianeta». Precisa David Scott Kastan, insegnante di arte e letteratura a Yale, che con il pittore Stephen Farthing ha dedicato un intero capitolo al verde nel saggio Sul colore (Einaudi, 2018). Ma avrebbe potuto davvero essere diversamente? Forse. Ma c’è dell’altro. Se chiedessimo a un fisico perché si vede il verde, ci risponderebbe che in natura tutti i colori sono assorbiti, mentre il verde è respinto. Per questo il nostro occhio lo vede. Tuttavia «il colore è molto più ciò che si pensa che ciò che si vede» scrive Manlio Brusatin, architetto e studioso del colore, nel suo Verde. Storie di un colore (Marsilio 2013).

Il verde, come tutti i colori, non è solo una lunghezza d’onda o una sensazione, ma un sistema complesso di percezioni e convinzioni condivise da una cultura. Ed è così che i verdi più appropriati per i tempi che stiamo vivendo sembrerebbero essere due: il “verde speranza” (mai disgiunto dalle “speranze verdi”) e l’ “essere al verde”(con l’aggravante di “non essere nel verde”).

Un’ulteriore conferma dell’ambivalenza, se non dell’ambiguità, di questo colore, che pare «buono quando fa parte della natura», ma decisamente nefasto quando «entra nel corporeo e nel serpentino». E Brusatin – nel suo colto e saltellante itinerario tra i verdi della storia – ci ricorda che sia l’Eden delle origini che quello perduto (che ci manca e ricerchiamo) sono sempre-verdi, così come la Speranza nell’iconografia sacra medievale (tra il bianco della Fede e il rosso della Carità). Ma già con Petrarca questa virtù si era «ridotta al verde». Così l’espressione tutta italiana “essere al verde” deriverebbe dai ceri nelle celebrazioni religiose, che avevano alla base un tronchetto di legno per l’appunto verde: il fondo da cui risollevarsi e ricominciare. «Dal verde rinasce il verde per poter “rinverdire”» conclude lo studioso.

Ma è stato sempre così? Vale la pena procedere con ordine facendoci guidare, perlomeno per qualche secolo, da Michel Pastoureau, tra i massimi esperti di Storia dei colori, che anche al verde ha dedicato un prezioso volume (Verde. Storia di un colore, Ponte alle Grazie 2018). E si parte da lì, dalle caverne dipinte dagli uomini del Paleolitico dove il verde non c’è: onnipresente nel mondo vegetale e forse proprio per questo escluso da qualsiasi rituale religioso o produzione artistica. Gli antichi egizi invece per indicare il verde usano un geroglifico a forma di papiro, simbolo dal significato sempre positivo: con il blu, allontanerebbe le forze del male, proteggendo i defunti nell’aldilà. Non a caso è il colore del dio funerario Osiride, che è anche dio della terra e della vegetazione.

Il mondo greco invece fatica a nominare il verde: molto si è discusso sul suo lessico cromatico limitato al bianco (leukós), al nero (mélas) e a un’ampia gamma di rossi. Ma si sa, vedere e nominare i colori sono due questioni nettamente distinte. Il latino, al contrario, non ha la minima difficoltà a designarlo: usa viridis, parola che appartiene a una grande famiglia di lemmi che alludono alla crescita e alla vita stessa (virere: essere verdeggiante e vigoroso; vis: forza; vir: uomo). E non da ultimo ver: primavera. Sarà per questo che in Occidente è stato a lungo legato ai rituali di corteggiamento (s’esmayer o “portare il maggio”), diventando emblema della gioventù e dell’amore precoce? Di sicuro “colore cortese”, chiaro e vivace, che risplende nelle vetrate, negli smalti, nelle miniature medievali.

Sfumatura cara all’amor profano, ma del tutto assente dal testo biblico. Anche i Padri della Chiesa ne parlano solo come il colore della vegetazione. Tutto cambia però con papa Innocenzo III (1198-1216) che, ancora cardinale, scrive un trattato sull’uso dei paramenti sacri dando al verde un nuovo ruolo nella liturgia. «Deve essere scelto per le feste e i giorni in cui né il bianco, né il rosso, né il nero sono adatti, essendo un colore medio fra il bianco, il rosso e il nero». Valore di terzietà quindi, così come sostenuto nel De coloribus, erroneamente attribuito ad Aristotele. E ben presto il verde diventa di fatto il colore più usato nell’anno liturgico cristiano. Ma è anche il colore religioso dell’Islam, così presente nelle bandiere dei paesi a maggioranza musulmana. Nel Corano è sempre positivo, associato alla vegetazione, al cielo e al paradiso (che di fatto è un giardino). Ma soprattutto il colore prediletto dal profeta Maometto, del suo turbante, indossato insieme al bianco.

Tuttavia, sul finire del Medioevo, dopo essere stato tanto apprezzato al tempo della cavalleria e della cortesia, il verde  comincia a perdere terreno, se non a cadere in disgrazia. «Colore chimicamente instabile sia nella pittura sia nella tintura, viene d’ora in poi associato a tutto ciò che è mutevole o capriccioso» continua Pastoureau. Ed è da allora che tende a sdoppiarsi: da un lato quello buono (dell’allegria, della bellezza, della speranza), ma sempre più discreto; dall’altra quello cattivo del diavolo e delle sue creature, delle streghe, del veleno, della malattia, della putrefazione. E quindi associato all’invidia, alla menzogna, all’avarizia e anche alla gelosia. E la sua storia in Occidente, ancora davvero lunga, sarà d’ora in avanti costellata da giudizi altamente contrastanti e da repentini cambiamenti di fronte.

Ma arriviamo ad oggi. «Ti piace il verde?» Secondo recenti sondaggi, alla domanda in Europa risponderebbe affermativamente una persona su cinque o sei, diventando secondo solo al blu nella gerarchia dei colori preferiti (e non a caso). Per lo studioso francese l’autentica forza simbolica acquisita in misura sempre maggiore dal colore verde nelle società occidentali sta tutto in una triade, quella di salute, libertà e speranza. Dopo essere stato a lungo malvisto o respinto, a lui, proprio al verde, è stata indiscutibilmente affidata la missione di salvare il pianeta.

Ma si tratterà di un surreale quanto istantaneo raggio verde? C’è il rischio. Ma dopotutto a quel lampo smeraldo che dura pochi secondi, visibile in qualche raro tramonto sul mare, è stato da sempre attribuito un arcano potere di rinnovamento.

Biografia

Dopo una laurea in Conservazione dei beni culturali e un Master in Digital Humanities, si è occupata della catalogazione di importanti fondi librari, tra Firenze e Venezia.
Ha pubblicato articoli e saggi sull’editoria veneziana di fine Ottocento (tra cui Ferdinando Ongania editore a San Marco, Marsilio, 2008 e Ferdinando Ongania 1842-1911 editore in Venezia. Catalogo, Lineadacqua, 2011).
Ama nell’ordine: camminare in natura, leggere (soprattutto biografie), scribacchiare. Cura il blog MaryMcBooks.

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