
Cinquant’anni fa il disastro della diga di Banqiao in Cina
Gli errori dell’uomo e la violenza della natura causarono 171mila morti
Progettata e costruita per essere indistruttibile, resistendo anche al più violento evento atmosferico, la diga di Banqiao, nella zona centrale della Cina, crollò in meno di quattro giorni, tra il 5 e l’8 agosto 1975. Come nel gioco del domino, il suo cedimento portò al collasso dell’intero sistema di sbarramenti artificiali realizzato per irregimentare le acque del fiume Ru: le spaventose inondazioni che ne seguirono provocarono, direttamente, o per effetto delle epidemie e carestie scatenate dal disastro, circa 171mila morti (per avere un’idea delle dimensioni bibliche della catastrofe, basti pensare che la tragedia del Vajont del 9 ottobre 1963 provocò meno di duemila vittime).
Ci vollero però trent’anni perché le autorità della Repubblica popolare togliessero il segreto di Stato, consentendo di fare chiarezza sulle dimensioni effettive di quanto accaduto.
La diga era stata edificata negli anni Cinquanta dello scorso secolo, allo scopo di produrre energia elettrica, ma anche – paradossalmente, alla luce di quanto sarebbe poi accaduto – per limitare le conseguenze dei fenomeni alluvionali che nel 1949 e nel ’50 avevano flagellato la provincia di Henan, una delle più popolose della Cina. Era alta 118 metri e conteneva un bacino capace di raccogliere quasi 500 milioni di metri cubi d’acqua, e altri 375 milioni in caso di emergenza. Chen Xing, il massimo esperto cinese di idrologia, che aveva partecipato al progetto, consigliò la creazione di almeno dodici paratoie laterali per permettere il deflusso dell’acqua, scongiurando pericolose esondazioni, ma ne vennero realizzate soltanto cinque: Chen Xing, che criticava aspramente la disinvolta politica di sfruttamento delle risorse idrografiche da parte del governo di Pechino, venne allontanato.
Già poco dopo il completamento della diga, apparvero fratture e fessure, poi riparate con la consulenza di ingegneri sovietici: fu questo intervento di consolidamento a far ritenere Banqiao “indistruttibile”.
Ma non erano stati fatti i conti con la forza della natura. Nell’agosto del ’75, lo scontro tra il super tifone Nina e un fronte freddo causò piogge torrenziali di eccezionale rilevanza. Tra il 5 e il 7, caddero oltre mille millimetri di pioggia, rispetto a precipitazioni medie annue di 800, mentre la diga di Banqiao era stata progettata per reggere fino a 306 millimetri giornalieri. Le prime richieste di aprire la diga vennero respinte. La notte tra l’8 e il 9, però, la diga di Shimantan, più piccola e situata più a monte rispetto a Banqiao crollò sotto la pressione di una massa d’acqua due volte superiore alla sua capacità normale; pochi minuti prima, un’unità dell’Armata rossa cinese, dislocata in zona, aveva sollecitato in preda al panico l’intervento dei jet militari perché aprissero la diga con i missili. All’una del mattino, anche Banqiao cedette di schianto e stessa sorte conobbe l’intero sistema di sbarramento e irreggimentazione del fiume Ru, anche per gli attacchi missilistici dell’aviazione, che fece deliberatamente saltare alcune dighe nella speranza di salvare quelle più a valle e di far defluire l’acqua in modo meno impetuoso.
Il disastro raggiunse presto dimensioni apocalittiche. Il crollo di Banqiao generò un’onda simile a uno tsunami larga dieci chilometri e alta fino a 7 metri che si abbatté inarrestabile sulle zone a valle, spazzando un’area lunga 55 km e larga 15. Sette capoluoghi di contea furono completamente inondati, oltre a migliaia di chilometri quadrati di campagne e molti villaggi. Numerose linee di comunicazione stradali e ferroviarie rimasero interrotte per giorni e in alcuni casi settimane, ostacolando il lavoro dei soccorritori e l’afflusso dei generi di prima necessità. Furono mobilitati 40mila soldati dell’Esercito popolare di liberazione, ma dopo 9 giorni milioni di persone erano ancora isolate e prive di aiuto. L’unico modo per evitare che morissero di fame e di stenti fu di paracadutare viveri e medicinali, mentre le pessime condizioni igieniche cominciarono a favorire lo sviluppo di epidemie. Così alle 26mila vittime causate direttamente dall’inondazione – secondo il Dipartimento idrologico della provincia di Henan – se ne aggiunsero altre 145mila. Enormi i danni, quantificati all’epoca in mezzo miliardo di dollari, undici milioni gli sfollati.
Ma tutta la verità sulle dimensioni umane e materiali della tragedia sarebbe emersa solo nel 2005. Nel frattempo, Banqiao e altre dighe sono state ricostruite, come se la durissima lezione non fosse servita d’esempio.