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“Nobil giardin con un perpetuo aprile”. Il parco di Castello Bufalini a San Giustino

Un giardino nobile, costituito di tanti fiori, frutti e vegetazione, di ombre e di acque, è quello evocato nei versi di Francesca Turina Bufalini, straordinaria poetessa vissuta nel secondo Cinquecento. Donna di rara sensibilità e capacità introspettiva, l’autrice ha lasciato diversi componimenti che si schiudono sulle sue tormentate vicende biografiche, dalla perdita dei genitori alla gioia della maternità, dalle preoccupazioni per i figli alla solitudine della vedovanza, precorrendo i tempi per indipendenza intellettuale. Moglie diciannovenne del conte sessantottenne Giulio Bufalini, Francesca trascorse nel castello di famiglia a San Giustino rari momenti di felicità, un “dolce soggiorno” che la portò a sussurrare una benedizione per quel lontano, ma perpetuo nella memoria, aprile.

Non sorprende che i passati abitanti del luogo fossero innamorati dello spazio verde che circondava il fortilizio, posto come a ingentilire il suo passato medievale e il carattere difensivo. La prima sistemazione del giardino va fatta risalire a un momento fondamentale nella genesi del castello, quello seguito all’atto di donazione della struttura a Niccolò di Manno Bufalini, nel 1487. Il ricco proprietario terriero, di illustre famiglia, acquisì la custodia dell’edificio direttamente dalle mani dei governanti di Città di Castello, desiderosi di sgravarsi dall’onere dell’ennesima ristrutturazione.

Nel corso della sua secolare esistenza, infatti, l’impianto castellare venne distrutto e ricostruito più e più volte, sia in seguito a feroci scontri e strategiche battaglie, all’ordine del giorno nell’Italia comunale e dei Signori, sia a causa di drammatici terremoti. Grazie a Niccolò, il fortilizio divenne più maestoso e incombente, con l’inserimento delle tre torri e della torre maestra, dei camminamenti merlati e del ponte levatoio. Agli inizi del Cinquecento, la raggiunta stabilità politica e sociale del territorio consentì di effettuare alcune modifiche sostanziali alla preesistente architettura militare e ne favorì la metamorfosi in villa gentilizia. Dal 1530 i Bufalini, in particolare nelle figure di Ventura e Giulio, furono promotori di un sostanziale cambiamento di facies del castello, dotandolo di un fastoso scalone, di un cortile interno con loggia alla maniera di Brunelleschi e di alcune finestre inginocchiate, simboli di prestigio decifrabili con facilità. Nello stesso periodo, Cristoforo Gherardi detto il Doceno portò a termine le stanze affrescate, una delle più importanti testimonianze del Manierismo umbro.

Senza dubbio il giardino era un elemento centrale nel complesso progetto di creazione della nuova residenza, poiché in grado di garantire lo scenario ideale all’otium della famiglia e dei suoi ospiti. Documentava inoltre un certo grado di addomesticamento, e dunque controllo, del paesaggio naturale, con modalità di maggior lustro rispetto alle pratiche agricole e mezzadrili a cui i Bufalini legavano parte significativa della propria fortuna. Le emergenze architettoniche costituivano però un limite invalicabile all’inserimento di siepi, alberi da frutto e piante ornative: un profondo fossato, verso l’interno, e un muro di cinta, verso l’esterno, erano i bordi di contenimento del pur consistente giardino. Purtroppo i dati su questo primo spazio verde, sicuramente ordinato e geometrico al pari delle più importanti ville del tempo, sono davvero minimi. Vi prosperavano poche piante endemiche, come il leccio e l’alloro, le rose e alcuni alberi piantati in vaso, ad esempio gli agrumi. Con molta probabilità ne faceva già parte la ragnaia – le cui tracce sono visibili ancora oggi – un luogo deputato cioè alla cattura degli uccelli: come delle tele di ragno, le corde distese e intrecciate (le ragne per l’appunto) erano nascoste con cura tra i rami del manto boscoso, trappole mortali per i piccoli volatili che venivano attirati da richiami.

Risale forse alla fine del Seicento l’attrattivo labirinto, anche questo elemento immancabile nelle ville signorili. L’intreccio di siepi di bosso, a pianta trapezoidale, occupava l’angolo est del giardino, segnando un mutamento di visione rispetto all’euritmia rinascimentale: il camminare incerto, privo di punti di riferimento e divertito che accompagnava l’ingresso al labirinto era tipico di un nuovo sentire, quello barocco. Lo spazio dello svago era collocato vicino al colorato e rigoglioso roseto, diviso in dodici settori o spartimenti da spalliere in legno.

Grandi lavori di rinnovamento interessarono il giardino nei primi anni del Settecento, per volere di Filippo I Bufalini. L’architetto e ingegnere Giovanni Ventura Borghesi realizzò un moderno impianto idrico a gravità, così che fosse possibile alimentare molteplici fontane e realizzare scenografici giochi d’acqua. Le vasche di forma polilobata e i nicchioni con fondo a mosaico erano collegati da una rete di canaline sotterranee alimentate dal vicino torrente Vertola. Gli zampilli fuoriuscivano da grossi mascheroni, andati purtroppo perduti. L’effetto finale doveva essere davvero strabiliante. Un belvedere, piccola costruzione a volta dedicata al raccoglimento e al ristoro, raggiungibile dal corridoio coperto di viburno lungo il recinto esterno, venne edificato nelle stesse date.

La sistemazione settecentesca era molto simile a quella arrivata fino ai nostri giorni, con marginali aggiunte ottocentesche, come la costruzione di una nuova limonaia a lato dell’ingresso. Uno spazio modificato in maniera irreversibile nel corso dei secoli è invece il cosiddetto giardino segreto, a sinistra della facciata, ad uso esclusivo dei membri della famiglia Bufalini. Alcuni disegni, eseguiti alla fine del XVII secolo, documentano l’esistenza di questo giardino nel giardino, caratterizzato da una fontana centrale e da quattro aiuole angolari. Le aiuole assumevano una forma curiosa, di simboli araldici, rivelando al loro interno la corona principesca e l’inconfondibile testa di bufalo. Nel Settecento vennero inseriti nel giardino segreto anche una grande vasca ovale, forse ad uso di peschiera, e il ninfeo tuttora presente. Una grande vasca venne infine collocata di fronte al mastio, suo corrispettivo delicato.

Il giardino che circonda Castello Bufalini è, come il castello stesso, frutto di stratificazioni e di diversi interventi che si susseguirono incessantemente nel corso degli anni. Vero è che la sensazione di quiete e di serenità che prova chiunque percorra i suoi vialetti, scopra gli scorci più suggestivi, respiri i profumi del luogo, sembra essere la stessa immortalata dalla poetessa che l’attraversò quasi cinque secoli fa. Se, come noto, la parola “paradiso”, attraverso il termine latino “paradisus” e il greco “paradeisos”, ha origine dal persiano pairidaez, che significa “giardino cinto”, Castello Bufalini resta come sospeso in una rara atmosfera senza tempo, edenica, cresciuta all’ombra dei suoi stessi alberi, maturata in gemme e boccioli, rinnovata da tenaci primavere.

 

Le informazioni sono tratte dall’importante volume di Simona Dindelli, Castello Bufalini. Una sosta meravigliosa fra Colle Plinio e Cospaia, Arezzo 2016 con specifica bibliografia di riferimento.
Biografia

Storica dell’arte contemporanea, lavora alla Galleria Nazionale dell’Umbria come operatrice museale e collaboratrice dell’Ufficio Didattica e Storia dell’Arte.

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