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Un ponte chiamato relazione. Dialogo col regista Massimo Manini

A partire dagli anni ’60, comincia in ogni parte del mondo una vera e propria presa di coscienza ecologica da parte di molti artisti, che verrà definita con il nome di Land Art (uso dei materiali naturali) e con Environmental Art (installazioni presso vari luoghi). Negli ultimi anni di questo inizio secolo, questa attenzione degli artisti nei confronti della natura si è trasformata in una vera e propria dedizione alla salvaguardia del territorio e del paesaggio, mettendo a disposizione delle comunità il proprio pensiero visionario. Tra le varie azioni attivate, oltre a quelle già note di Franco Arminio o di Mauro Corona, c’è
quella del bolognese Massimo Manini, attore, autore e regista, che da alcuni anni, dopo essersi trasferito in Umbria, si sta dedicando a riallacciare una “relazione” tra un territorio e il sito che gestisce: la Foresta Fossile di Dunarobba (in provincia di Terni).

 

Conoscendo la tua dedizione al teatro civile (penso ad opere come “Bologna 2 Agosto” o “l’affaire Mortara”) cosa ti ha portato a fondare una cooperativa di comunità che si occupasse di valorizzare un sito paleontologico, allontanandoti dal lavoro finora compiuto?

Innanzitutto non mi sono affatto allontanato dal mio lavoro: anzi, l’azione ideata per valorizzare un bene straordinario come la Foresta Fossile di Dunarobba e il territorio in cui essa è sita, non è altro che l’estensione di quel Teatro della Memoria e Impegno Civile da cui provengo; non ho fatto altro che trasferire alcune dinamiche appartenenti alla scena, a quelle più quotidiane della vita reale di cui un sito e il suo territorio necessitavano. La cosa in più che aggiunge valore al lavoro svolto, è il fatto di poterlo fare con la gente della comunità, con persone del luogo che ne sono i quotidiani protagonisti. Quindi, nel
pensare un progetto di valorizzazione di un sito così importante, non ho cambiato lavoro: anzi, faccio esattamente ciò che ho sempre fatto, l’artista, ma portando la mia esperienza in un campo diverso dallo spettacolo, insieme a professionisti, archeologi, scienziati: solo con questi “attori” potevo riattivare quella relazione tra persone e ambiente di cui mi sono sempre occupato.

 

Ecco, era proprio qui che volevo arrivare, a questa “relazione” tra uomo e natura, che il genere umano ha incrinato a causa dell’effetto delle sue azioni. Cosa può fare un artista per salvare questa relazione?

Intanto farei una distinzione tra gli artisti che perseguono una relazione personale con la natura e gli artisti che agiscono insieme alla comunità. Sono due approcci molto diversi: nel primo c’è l’esigenza dell’individuo che mira a soddisfare la propria ricerca, nel secondo c’è una sensibilità diversa. Mettere a disposizione della gente una visione e una prospettiva nuove, significa coinvolgerle e invitarle a ri- conoscere e ri-appropriarsi del proprio territorio. Il progetto di valorizzazione della Foresta Fossile parte dall’idea di relazione mutuata dal teatro, un campo che conosco molto bene: una relazione è fatta anche di ascolto, di percezione, di “sentire e restituire le cose a pelle”. E quindi l’artista deve provare ad ascoltare le persone ma soprattutto deve trasmettere agli altri ciò di cui l’ambiente ha bisogno.

 

Certo, come artista ti capisco. Ma perché chi abita un territorio non sempre riesce a cogliere gli aspetti essenziali del proprio luogo?

In qualsiasi società, dove la frenesia del dover correre la fa da padrona, è facile perdere di vista l’importanza del luogo in cui viviamo, che è poi ciò che ci identifica e che ci distingue. È come non curarsi di una cosa che ci appartiene. E quindi la cosa più naturale che viene da pensare, è il vantaggio che si può trarne. La soluzione sarebbe rallentare la propria corsa e fermarsi a pensare come cambiare il rapporto con l’ambiente in cui si vive. Ma non tutti riescono o vogliono farlo. Heidegger dice “abitare è essere”, laddove per “abitare” s’intende il “costruire”. Ma il “costruire” non è concepito come “l’edificare”
un qualsiasi edificio: bensì il “progettare”, il “pensare” l’ambiente in cui si vive o si sceglie di vivere, guardandolo da un punto di vista “dinamico”. Per molti, invece, il “costruire” equivale a tirare su muri. É a quel punto che comincia a vanificarsi ogni tipo di relazione: anche con l’ambiente in cui si vive.

 

Il punto di vista dell’artista fa la differenza, quindi: ma non tutti sono visionari. Alphonse de Lamartine diceva: “la fotografia è più di un’arte, perché l’artista collabora con il sole”…

Se un’affermazione del genere, alla fine dell’800, poteva suonare strana, oggi non lo è più. Il ruolo dell’artista, nella società contemporanea, è fortunatamente cambiato, in quanto ormai da tempo ha smesso di essere un’entità astratta che vive in un mondo tutto suo; è invece sempre più in grado di comprendere la realtà, spesso anche meglio di altri, perché vive non solo in prima linea rispetto alla massa, ma lo fa nell’avamposto più avanzato del pensiero umano: quello della creatività, che consiste nel sapere realizzare cose che altri nemmeno immaginano: come l’idea di “collaborare con il sole”. Quando Heidegger circoscrive il concetto di abitare ed essere, partorisce altri due pensieri. Il primo è che per progettare un territorio non è necessario nascerci, ma viverlo, e quindi capirlo per ripensarlo; il secondo è che scegliere di abitare in un paese in cui non si è nati, è come adottare quel luogo, contribuendo, assieme a chi ci è cresciuto, a dargli un futuro nuovo, scevro da retaggi culturali. Come il fotografo di de Lamartine, l’artista coglie nella luce sfumature che lo proiettano oltre il luogo in cui agisce, in un futuro che gli altri non intuiscono. Quando non si appartiene ad un dato universo, è bene tenersi a distanza per osservare senza pregiudizi: solo col tempo ci si potrà avvicinare al sole senza temere di bruciarsi. É in quel momento che comincia la collaborazione: non solo con “il sole”, ma con l’intero sistema, perché pazientemente se ne fa già parte.

 

Tutto molto chiaro. Ma torniamo al tuo lavoro e a quel concetto di relazione che ti fa uno di quegli artisti che contribuiscono a fornire occhi nuovi con cui guardare il proprio paesaggio. Tu non sei Umbro…

È vero, sono emiliano, di Bologna, ma vivo in Umbria da 15 anni: è il mio lavoro che mi ha portato qui. Posso dire di aver capito questo territorio attraverso il rapporto con le persone che vi sono nate. Ritornando ad Heidegger, condivido l’idea che non esiste un “diritto di nascita” legato ai luoghi, ma solo un dovere di appartenenza a un “territorio che non ha confini”: quello di una “responsabile consapevolezza” o “jus culturae” che ti fa sentire cittadino ovunque. Paradossalmente, ci si può sentire di più a “casa” in quei luoghi in cui non si è nati: la realtà dei fatti, è che in molti casi, questo non solo è vero, ma è necessario per lo sviluppo di un luogo. Gli sguardi nuovi, insomma, rinnovano il paesaggio: allargano il territorio e la sua cultura. Donano ad esso quella nuova linfa che diversamente andrebbe esaurendosi. Per citare un altro grande fotografo, Ansel Adams, “Nella fotografia, non c’è solo l’immagine che hai visto, ma anche i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato”. Lo stesso posso dire per la mia idea di teatro: un luogo in cui raccontare la storia di una relazione che deve ancora accadere: quella tra una Foresta e la gente del proprio territorio. D’altronde il fascino di ogni relazione, e quindi dell’arte, non è quello di costruire ponti? Ecco: io sto cercando di fare questo.

 

Massimo Manini è attore, autore e regista di teatro, video e cinema nell’ambito della Memoria e Impegno Civile. Dal 1997 è ideatore di progetti di educazione e propedeutica teatrale all’interno delle scuole di ogni ordine e grado. Formatosi negli anni ’70 con esponenti internazionali del teatro di ricerca, ha lavorato come attore nelle maggiori rassegne e festival nazionali e internazionali, in televisione, e produzioni cinematografiche. Ha lavorato nel campo della pubblicità e comunicazione come grafico free-lance, copywriter, e assistente di studio per campagne pubblicitarie d’importanza nazionale. Autore del romanzo storico “Fòdbal 4a Brigata”, dal 1 luglio 2018, è ideatore e presidente di Surgente, la prima Cooperativa di Comunità dell’Umbria fondata per gestire la Foresta Fossile di Dunarobba: da questa esperienza, nasce l’idea di uno studio chiamato Economia di Relazione.
Biografia

Pubblicista e blogger, appassionata e studiosa di fotografia, in particolare sullo studio della fotografia nelle varie applicazioni di ricerca sul linguaggio dell’immagine, si è laureata all’Università di Bologna con una tesi intitolata: “I bambini e la fotografia”. Ha diretto un ciclo di incontri e di interviste su SAT 2000 avendo tra gli ospiti il maestro Pupi Avati: ha inoltre collaborato col regista Giorgio Diritti per la realizzazione di alcuni programmi televisivi. Per realizzare alcuni importanti progetti artistici, culturali e di comunicazione riguardanti la città di Bologna, ha creato assieme ad altre personalità della cultura cittadina, l’associazione Mistic Media, un progetto di documentazione video con cui promuovere e dare voce ad autori e artisti del capoluogo felsineo.

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