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Il canto della Terra. Orizzonti di Land Art in mostra al MANU. L’intervista a Paolo Repetto

La leggenda narra di Ulisse che, di ritorno dalla distruzione di Troia, risalendo il fiume Tevere, sostò in un luogo denominato Colle Landone dove fondò Perugia. Nella luce abbacinante dei primi giorni di luglio, risento gli echi di una storia sepolta. L’alterità perugina, austera e lineare, si staglia all’orizzonte mentre i suoi campanili, i palazzi, le strade si inerpicano lungo i colli delineando i contorni di una città «piena di un mio desiderio», come cantava Sandro Penna. Ed è questo desiderio l’urlo muto ascoltato camminando per le strade di Perugia, graffiata dalla luce e assorta nel mistero. Le tracce di una poliedrica matrice culturale mi accolgono alle porte del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Tra quelle mura incontro Paolo Repetto, in visita a Perugia, in occasione della mostra, da lui curata, Il canto della Terra. Orizzonti di Land Art che inaugurerà venerdì 3 settembre e rappresenterà uno degli eventi della rassegna culturale di Umbria Green Festival 2021.

 

Il canto della Terra è l’esposizione che porterà, dal 3 settembre per un mese, al MANU di Perugia, i principali protagonisti della Land Art. Come spieghi il dialogo e l’incontro che verrà a crearsi tra i reperti archeologici che compongono parte della mostra permanente del museo e la ricerca di Richard Long, Gianfranco Gorgoni, Christo (per citarne alcuni)?

La Land Art è un importante, vasto movimento internazionale, americano ed europeo, costituito da molte personalità artistiche, anche molto diverse, che di fondo ha voluto e saputo recuperare il contatto diretto con la terra. Questa nobile, estrema semplificazione della percezione verso il mondo e la sua concreta realtà, segna una nuova dimensione etica ed estetica: in una parola, dopo molti anni di intellettualismi che hanno portato ad un eccesso di tecnologia, il ritorno ad una vera comunione con la terra. Un sapiente, nuovo arcaismo, che si sposa meravigliosamente al mondo arcaico, essenziale degli antichi etruschi. La pietra, il fango, l’acqua, come materiali essenziali e vitali.

 

Riflettendo sulle suggestioni che l’opera d’arte può creare in relazione al luogo nel quale viene collocata (luogo che può diventare a sua volta un’opera d’arte), ho pensato al lavoro di ricerca e “scavo” di Maria Lai, Legarsi alla montagna del 1981. Anche in questa mostra le radici culturali, la ricerca e lo scavo saranno dei punti di partenza fondamentali per capire il legame tra opera d’arte e ambiente circostante, opera d’arte e materiali che la compongono. Che cosa ci puoi dire a proposito di questo legame alla luce delle opere esposte?

Come ho accennato prima, a fronte di una eccessiva tecnologia, e le sue svariate e complesse protesi, il primo grande merito dei vari componenti della Land Art, è stato ed è quello di un “ritorno alla natura”. Troppa scienza, e un eccesso di intellettualità e cerebralismi ci hanno allontanato dalla verità delle cose. Questi artisti recuperano una primordialità essenziale: dai circles in pietra di Long, ai disegni con le foglie di Goldsworthy; dalle pure, impegnative camminate di Fulton, al fondamentale concetto di ri-velare, mettere e togliere un velo di Christo; dalla Spiral Jetty di Smithson ai grandi disegni sulla terra di Heizer, tutti rinunciano ai fasti e alle illusioni della tecnologia, per riscoprire il contatto diretto con le forme della natura.

 

Il canto della terra è anche il titolo della sinfonia per orchestra di Gustav Mahler composta nel 1908 che attinge alle liriche cinesi di Li-Po e Wang-Wei, rimodulandole e operando una sorta di traduzione musicale. Mahler invitava a mettersi in ascolto del mondo dal momento che «scrivere una sinfonia vuol dire costruire un mondo». La mostra sottende un invito all’ascolto delle polifonie della terra, le stesse che talvolta non percepiamo perché travolti da immagini e rumori.

Increscioso e bellissimo è il mondo
con l’argine a quest’ora.
I corpi hanno pensieri
simili a uno schiarire
di allodole tra i cavi del grano in erba. Dice
“resurrezione”
e “fioritura”. Nessun canto
proviene dagli alberi. La voce
fiorisce da terra.

Si tratta di una citazione dalla poesia di Maria Grazia Calandrone inserita, insieme a quelle di altre poetesse, nell’antologia del 2011 Il canto della terra (Samuele Editore). Ho pensato in particolare alle ultime parole di questo estratto. Nessun canto proviene dagli alberi. La voce fiorisce da terra. Qual è la voce che fiorisce dalle opere di questa mostra?

È la voce della semplicità, della purezza, della schiettezza: è la voce del vento, e del suo assoluto mistero. È la voce della luce, delle nuvole, dell’acqua, del cielo, e i profumi della terra. È la voce della totale rinuncia all’hybris, la vanitas della tecnologia. Tarkovskij diceva che siamo ad un bivio: o torniamo a rispettare la natura, o, attraverso gli eccessivi congegni della scienza ci autodistruggeremo.

 

Se ti chiedessi di associare agli artisti in esposizione a Perugia un poeta e una poesia, quali contaminazioni sceglieresti?

Ralph Waldo Emerson è un grandissimo scrittore americano dell’800, in Italia poco noto. I suoi bellissimi libri, che Borges amava tanto, fondano tutta l’etica della Land.

 

Paolo Repetto è nato nel 1965. È laureato con lode in Lettere moderne con indirizzo di storia dell’arte all’Università di Genova. Ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio “G.Verdi” di Torino, diplomandosi in pianoforte. Da sempre, come storico e critico, ha approfondito le relazioni e le corrispondenze tra arte e musica. Per diversi anni ha insegnato Storia dell’Arte e Storia della Musica negli Istituti civici di Torino e Asti. Ha pubblicato numerosi saggi, ed i seguenti libri: Il silenzio dei suoni, Scritti sulla musica (Università di Genova, 1993), Il sogno di Pan, Saggio su Debussy (il melangolo, 2000); L’orizzonte dell’eternità-La musica romantica (il melangolo, 2003); La visione dei suoni, Arte-Musica (il melangolo, 2008) e Il canto della luce, Scritti sull’arte (2021).
Da diversi anni collabora con la Repetto gallery, London, e la De Primi Fine Art di Lugano, approfondendo la vasta realtà del mercato dell’arte contemporanea. Ha collaborato con Rete 2, il canale culturale della Radio Svizzera Italiana, e La Stampa di Torino, recensendo libri sul supplemento Specchio. Ha pubblicato numerosi scritti sulla rivista FMR; è critico musicale del mensile “Amadeus”, e critico d’arte del Corriere del Ticino. È visiting professor all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ha insegnato Analisi del mercato dello spettacolo all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2012 insegna Musica comparata-arte e musica, presso la Scuola universitaria del Conservatorio della Svizzera Italiana. E’ curatore di mostre d’arte e concerti.
Biografia

Sara Durantini (San Martino dall’Argine – Mantova, 1984) consegue la laurea magistrale in lettere moderne presso l’Università degli studi di Parma nel 2009. Vincitrice dell’edizione 2005-2006 del Premio Tondelli per la sezione inediti con il lungo racconto L’odore del fieno, nel 2007 pubblica il suo primo romanzo, Nel nome del padre, con la casa editrice Fernandel. Da oltre dieci anni scrive articoli per riviste letterarie online e cartacee. Dal 2011 cura il blog letterario corsierincorsi.it. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in diverse antologie collettive fra cui Quello che c’è tra di noi, a cura di Sergio Rotino (Manni Editore, 2008), Dizionario affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta (Fandango Libri, nell’edizione 2009 e 2019), Orbite vuote, a cura di Marco Candida (Intermezzi Editore, 2011), oltre ad un approfondimento su Massimo Bontempelli accolto nel saggio L’unica via è il pensiero a cura del professore Hervé A. Cavallera (Intermedia Edizioni, 2019). Nel 2021, Sara Durantini ha pubblicato L’evento della scrittura. Sull’autobiografia femminile in Colette, Marguerite Duras, Annie Ernaux per la casa editrice di Milano 13 lab Editore.

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