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Photo by National Cancer Institute on Unspash

Donne nella scienza: il gender gap e l’emarginazione della voce femminile

L’11 febbraio è la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza. Istituita nel 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, la giornata rientra appieno nei 17 goals dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. L’evento impone una riflessione sulla parità di genere.

 

Raccontare le donne nella scienza significa immergersi in una storia di emarginazione femminile. La questione sottende un gender gap che, se sul piano etimologico, linguistico e semantico ha assunto velleità differenti rispetto ai secoli passati (basti pensare alle forme femminili dei nomi nelle professioni spesso relegate in posizioni subalterne, non ufficialmente riconosciute oppure utilizzate con valenza dispregiativa), sul piano sociale e culturale il divario continua a dimenticare la voce e il corpo femminile.

«Donna, alle donne è ornamento il silenzio». È il monito di Aiace che, probabilmente, riprende la nota espressione proverbiale, «ornamento per la donna è il parlare poco».

Volendo restare nel passato, l’avvento del Cristianesimo ha contribuito ad una sorta di esclusione della donna dalla vita sociale poiché essere inferiore, seconda all’uomo (difatti si tramanda che il corpo femminile serve all’uomo affinché quest’ultimo non si senta solo).

Silenzio, obbedienza e fedeltà, come si ravvisa da queste testimonianze classiche, sono qualità che accompagneranno la donna durante tutto il periodo medioevale. Alla donna spetta il ruolo di angelo del focolare. Nonostante lo scorrere dei decenni, il sapere scientifico-matematico è pressoché inaccessibile alle donne.

L’era della rivoluzione scientifica non incide sulla marginalità della donna che, al contrario, viene ampiamente sostenuta e argomentata da molti filosofi: Kant asserisce come la mente solida e laboriosa sia propria dell’uomo e che, pertanto, le donne non possono in alcun modo capire e conoscere le scienze matematiche; analogamente Rousseau è un ardito sostenitore della frivolezza e della volubilità dell’animo femminile che, di conseguenza, non può accedere alla matematica e alla scienza.

L’assenza delle donne nella scienza riflette una carenza del pensiero: la società ragiona in termini maschili e parla una lingua maschile, si adegua alla volontà del maschio e insegna alle donne, da tempi immemori, il silenzio. Quante sono le figure femminili che, nella storia, hanno imparato il silenzio? Tacita, Penelope, Maria… figure mitiche, ancelle di padri-padroni, mariti onnipotenti e onnipresenti, figure alle volte private del volto e del corpo. Nicoletta Polla-Mattiot ha ridato voce a queste figure nel suo recente saggio, Singolare femminile. Perché le donne devono fare silenzio (Mimesis Edizioni, 2019): un viaggio nel tacere femminile, scelto e imposto, cercato e subito, e nelle donne che lo incarnano: eroine letterarie, personaggi reali o d’immaginazione, archetipi in cui risuona il destino comune e pur tuttavia l’esperienza singolare femminile.

I primi nomi di donne nella scienza sfuggiti all’obliterazione compaiono nel Settecento: Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil, matematica, fisica e letterata francese, e Maria Gaetana Agnesi, anch’essa matematica (autrice di ben due volumi), filosofa, teologa, accademica (le venne offerta la cattedra di matematica all’Università di Bologna), traduttrice, donna di grande cultura, spirito libero fino alla morte.

Negli stessi anni, è da ricordare l’italiana Laura Bassi, ricercatrice e docente. Nel 1749, Bassi fondò presso la sua abitazione a Bologna una Scuola di Fisica Sperimentale. Il centro di ricerca divenne famoso in molti Paesi dell’Europa tanto che nel 1776 il Senato le conferì la cattedra di Fisica sperimentale presso l’Istituto delle Scienze (fondato nel 1714 a Bologna da Luigi Ferdinando Marsili).

In uno studio articolato, Jenny Boucard e Isabelle Lémonon parlando delle donne nella scienza (dalla matematica alle scienze astratte) hanno analizzato come per tutto il Settecento e parte dell’Ottocento, era radicatala convinzione secondo la quale l’estromissione delle donne dallo studio delle materie scientifiche e matematiche fosse indispensabile al fine di salvaguardare la salute e l’integrità fisica delle donne stesse.

Dobbiamo attendere la fine dell’Ottocento per vedere la prima donna insignita del dottorato di ricerca in matematica: Sofja Kovalevskaya, di origini russe.

L’obliterazione femminile continuerà a rimanere invariata fino ai primi del Novecento. Successivamente, sono tanti i nomi che hanno ricoperto (e ricoprono tuttora) ruoli di spicco in campo scientifico. Solo per citarne alcuni: Grete Hermann, scienziata, filosofa, politica e docente; Grace Murray Hopper, docente universitaria (dopo aver ottenuto il dottorato di ricerca in matematica a Yale), voce di spicco del panorama informatico americano e internazionale; Amalia Ercoli Finzi, accademica, scienziata e ingegnere aerospaziale al Politecnico di Milano; Albina Messeri, botanica, ricercatrice e docente universitaria; Marie Curie, premio Nobel per la fisica e premio Nobel per la chimica; Luciana Bianchi, professoressa e dirigente di ricerca al Dipartimento di Fisica e Astronomia della Johns Hopkins University a Baltimora; Margherita Hack, una delle più grandi astrofisiche e scienziate della storia italiana nonché accademica e divulgatrice scientifica; Rita Brunetti, fisica italiana; Lydia Monti, nominata ordinario di Chimica farmaceutica e tossicologica dell’Università di Siena nel 1940, di cui è stata preside dal 1958 al 1960; Elena Cattaneo, tra i massimi esperti italiani e punto di riferimento internazionale nello studio delle cellule staminali e delle malattie neurodegenerative; Fabiola Gianotti, fisica italiana e direttrice generale del CERN di Ginevra; Rita Levi Montalcini, insignita del premio Nobel in area scientifica.

Impossibile fare un elenco esaustivo di tutte le donne nella scienza dimenticate, volutamente o meno, dalla Storia. A dare loro voce, oltre alla già citata Nicoletta Polla-Mattiot, ricordiamo anche il volume di Elisabetta Strickland (professoressa ordinario di Algebra presso l’Università di Roma Tor Vergata), Scienziate d’Italia. Diciannove vite per la ricerca (Donzelli, 2011) il cui intento ha una doppia natura «rendere un tributo al lavoro caparbio delle scienziate italiane e alla loro straordinaria intelligenza, e riflettere sul ruolo della donna nella ricerca e sui principali ostacoli alla parità nel mondo scientifico».

Per bambini e adolescenti vi è la collana pubblicata da Editoriale Scienza e dedicata alle donne nella scienza, biografie illustrate e sapientemente raccontate in cui il percorso professionale «si intreccia con quello delle vicende personali e degli affetti, nonché con gli interessi, le passioni e i sentimenti che animavano queste scienziate».

Di più recente pubblicazione è il saggio di Caroline Criado Perez, tradotto nel 2020 da Carla Palmieri per Einaudi. Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano: è il titolo del libro di Criado Perez che ci pone difronte a una verità allarmante: «le storie che ci raccontiamo riguardo al nostro passato, al presente e al futuro sono tutte contrassegnate da una presenza-assenza che ha la sagoma di un corpo femminile. È il gender data gap, la mancanza di dati di genere». «È importante chiarire sin d’ora che l’assenza di dati di genere» precisa Criado Perez «non è sempre malevola, e neppure premeditata. Spesso è solo la conseguenza di un modo di pensare che esiste da millenni e che, in un certo senso, è un modo di non pensare».

Alla fine di ogni giornata ci si chiede che cosa ne sia rimasto. E anche oggi, in questo 11 febbraio, ci chiediamo se la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza abbia contribuito a gettare le basi per la costruzione, vera  e concreta, della parità di genere, affinché il corpo femminile non sia più costola di uno maschile, affinché non vi siano più donne costrette a costruirsi o “inventarsi” una stanza tutta per sé, affinché nessun uomo debba più spiegare le cose alle donne mettendole a tacere, affinché nessuna donna sia più costretta o invitata a fare un passo indietro. In una frase sola, ci chiediamo se questa giornata abbia contribuito all’uguaglianza di genere affinché il nostro sesso non sia più secondo a nessuno.

Biografia

Sara Durantini (San Martino dall’Argine – Mantova, 1984) consegue la laurea magistrale in lettere moderne presso l’Università degli studi di Parma nel 2009. Vincitrice dell’edizione 2005-2006 del Premio Tondelli per la sezione inediti con il lungo racconto L’odore del fieno, nel 2007 pubblica il suo primo romanzo, Nel nome del padre, con la casa editrice Fernandel. Da oltre dieci anni scrive articoli per riviste letterarie online e cartacee. Dal 2011 cura il blog letterario corsierincorsi.it. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in diverse antologie collettive fra cui Quello che c’è tra di noi, a cura di Sergio Rotino (Manni Editore, 2008), Dizionario affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta (Fandango Libri, nell’edizione 2009 e 2019), Orbite vuote, a cura di Marco Candida (Intermezzi Editore, 2011), oltre ad un approfondimento su Massimo Bontempelli accolto nel saggio L’unica via è il pensiero a cura del professore Hervé A. Cavallera (Intermedia Edizioni, 2019). Nel 2021, Sara Durantini ha pubblicato L’evento della scrittura. Sull’autobiografia femminile in Colette, Marguerite Duras, Annie Ernaux per la casa editrice di Milano 13 lab Editore.

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