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Dialogo della Natura (e) di un Islandese

Editoriale di Aprile 

 

Un islandese, che aveva viaggiato per gran parte del mondo conosciuto e soggiornato in diversissime terre, andando una volta nel cuore dell’Africa vide da lontano un busto grandissimo; che da principio immaginò di pietra.  Ma fattosi più vicino, si accorse che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, il dosso e il gomito appoggiati a una montagna;  e non finta ma viva; di volto sublime: tra bello e terribile, occhi e capelli nerissimi.

La donna lo osservò per molto tempo senza parlare. Il suo volto era un misto di rabbia e rancore, in qualche modo spaventato o forse deluso. L’islandese, superato il primo momento di stupore, prese coraggio e, sentendo di far parte di un ordine superiore rispetto a quello dell’essere che aveva di fronte, senza più paura, le disse:

“Che hai da guardare in quel modo? Chi sei, innanzitutto?”
Sono la Natura; e vo fuggendo gli uomini.
“Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonagli, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quello che tu fuggi.”
“Un uomo?”
“Non altri.”
“Me ne dispiace fino all’anima; maggior sventura di questa non mi poteva capitare.”
“Pensavi che io non frequentassi questi luoghi? Qui, più che altrove, si dimostra la mia potenza. L’Africa è un posto dove tu pensi di poter avere ancora un qualche dominio, ma il flusso incessante, il motore mobile, il nostro continuo bisogno di consumare le tue risorse ci spinge a costruire torri, a succhiare i deserti, a scuotere le radici degli alberi, a conquistare ogni pezzo di terra e ad imporre la nostra legge. La legge dell’uomo. Ma perché fuggi da me?”

“Sappi, innanzitutto, che il tuo streben faustiano mi costringerà a reagire e ad annientarti. Per questo fuggo, perché non voglio distruggere ciò che con tanta fatica ho creato. Già durante la prima gioventù, fui persuasa della vanità e della stoltezza degli uomini; i quali combattendo continuamente gli uni con gli altri per l’acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nuocciono; tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, decisi (non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo con altri per nessun bene del mondo) di vivere una vita oscura e tranquilla; e disperata dei piaceri, non mi proposi altra cura che di tenermi lontana dai patimenti. Lontana dagli uomini. Con questo non intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche: e già nel primo mettere in opera questa risoluzione, capii come era vano fuggire e sperare in qualche luogo non contagiato dalla follia umana, che tutto crea e distrugge. Sperai di liberarmi dalla vostra molestia, separandomi dalla vostra società, e riducendomi in solitudine. Ahimè, come mi sbagliavo. Prova ne è il fatto che tu mi hai trovata. In ogni caso mi illudevo che fatto questo passo, e vivendo senza quasi alcuna immagine di piacere, io potessi vivere senza patimento alcuno: ma l’inverno del cuore, l’intensità del freddo, e l’ardore estremo dell’estate, che sono qualità di questo luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare gran parte del tempo, m’inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo.
Nemmeno mi potevo conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri, perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl’incendi, frequentissimi, non smettevano mai di turbarmi.
Una volta questi eventi ero io a causarli e li sapevo gestire. Gli uomini mi temevano. Ero la Natura indifferente alle sofferenze degli uomini. Ora, le tempeste, gli incendi, il ruggito della terra l’uomo me li fa vomitare. Sì, vomito tempeste sempre più spesso, brucio il mio stomaco di radici e foglie. Sono costretta a reagire di continuo. Le catastrofi aumentano a causa dell’incessante sfruttamento del mio corpo. Ora l’uomo è diventato indifferente alla Natura.”

Biografia

Daniele Zepparelli. Nato il 2 giugno 1978 a Marsciano (PG). Laureato in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze della Formazione Primaria. Maestro di scuola primaria. Socio fondatore di Techne, azienda che si occupa di energie rinnovabili. Ideatore e organizzatore dell’Umbria Green Festival, evento che si svolge ogni anno tra Terni e Narni. Pubblicazioni: Il triste valzer di Mefistofele. Saggio. Secondo al concorso letterario nazionale Premio Città di Castello.

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