Follow us on social

Umbria Green Magazine

  /  Interviste   /  Se il futuro si crea a teatro: intervista a Marco Paolini

Se il futuro si crea a teatro: intervista a Marco Paolini

Un mondo verde, in cui l’uomo e l’ambiente convivano bene. Questo è quello che Marco Paolini, attore, drammaturgo e scrittore, propone con lo spettacolo “Sani! – Teatro fra parentesi”, andato in scena lo scorso 25 agosto al Teatro Romano di Spoleto come evento dell’Umbria Green Festival. Il giorno dopo ad Acquasparta, in occasione di una conferenza con lo scrittore islandese Andri Magnason, il Saggiatore ha intervistato Marco Paolini.

Perché secondo lei le varie forme d’arte – come il teatro, la scrittura – ricoprono un ruolo tanto importante nella comunicazione rispetto ai temi sociali che tratta nei suoi spettacoli?

Da sempre ci si specchia di più in un romanzo che in un saggio. Perché un saggio, un libro di divulgazione scientifica, anche il più rivoluzionario – penso ai libri di Newton, di Darwin – appartiene al proprio tempo. Certo, a volte anche i saggi attraversano i secoli, ma i romanzi lo fanno quasi sempre. Quello che chiamiamo classico non appartiene ad un tempo, è già parte di un ciclo. È per questo che in genere ci affezioniamo di più alle storie, e ad un certo modo di raccontarci che degli autori, degli artisti riescono a inserire in un’opera di qualunque natura sia, dalla pittura alla narrativa al cinema eccetera. Altra storia è il live, perché lo spettacolo dal vivo è sabbia, non resta: è un’esperienza che riguarda solo le persone che sono lì in quel momento, e nessuna rappresentazione, nessun racconto di quell’evento costituirà mai una via di trasmissione efficace. Beh, peccato, mi direte; ma il bello è che anche se si tratta di una ‘codifica di finzione’, com’è il teatro, accade realmente qualcosa tra le persone che sono lì. Dunque consapevoli delle differenze fondamentali tra un’opera letteraria o d’arte figurativa ed uno spettacolo dal vivo, tutti e due possono lasciare dei segni addosso alle persone. E questi segni in genere rimangono, perché passano per le nostre emozioni, fanno parte di una sfera diversa da quella razionale, al contrario delle informazioni che vengono condivise dalla scienza. Sono strumenti potenti, perché tutto ciò che entra nella sfera emotiva e ci lascia dei segni addosso è in grado di condizionare la nostra vita. Può capitare che uno spettacolo ti cambi la vita, che l’incontro con un buon insegnante in mezzo a tanti altri ti resti addosso; ognuno di noi può trovare un buon maestro in una cosa o in una persona, perché un ‘maestro’ è qualunque cosa si incontri nel momento giusto per potersela portare dentro. Quindi sì, sono convinto che, con tutti i suoi limiti, lo spettacolo dal vivo sia in grado di provocare dei segni, delle ferite che non sono necessariamente negative.

E può dire di considerare l’ironia, onnipresente nei suoi spettacoli, un ‘maestro’?

L’autoironia è necessaria per non prendersi troppo sul serio, e deve peggiorare con l’età, deve aumentare, altrimenti si finisce per investirsi di una auctoritas mal riposta. Io ho dei buoni maestri in questo, che mi insegnano a usare l’autoironia. Poi in uno spettacolo o in un testo l’ironia si può usare o non usare, e come il sale non va messa in dosi esagerate, sennò sa solo di sale. Va usata come una spezia: quando serve, poca. Alcune volte va insieme ad un po’ di zucchero, certe volte con qualcosa di più piccante… lo stesso discorso si può fare per tutte le altre ‘spezie’, non solo per l’ironia. Molta gente è convinta che il salato sia buono mentre il dolce no, che uno non faccia male e l’altro sì, ma non è scontato. Bisogna sempre assaggiare.

Cosa l’ha portata a prendere la direzione del teatro sociale?

Non lo so, varie cose, ma io non chiamo ‘teatro sociale’ quello che faccio, lo chiamo teatro e basta. Gli aggettivi li usano i critici, gli spettatori, ma chi lo fa non ha bisogno di aggettivi. Io faccio teatro come son capace di farlo e in base a quello che sento. Siccome scrivo io i testi è anche uno strumento per tirar fuori qualcosa che per me è importante far uscire. Che sia una cosa intima o ‘sociale’ non posso pregiudicare la materia. Magari se indago un po’ anche una cosa privata può trovare posto in uno spettacolo. Se in quello che sto facendo trovo una ragione, questa ragione di per sé è sociale, ma non è che mi hanno dato un tema da svolgere, il titolo l’ho sempre scelto.

Nella conferenza di stamane con Andri Magnason parlava dei piccoli gesti individuali come di gocce, che non devono formare un mare, ma un flusso. Come possono i singoli individui innescare e direzionare questo flusso? Hanno il potere di farlo?

Se avessi una risposta, avrei un potere che non ho. Ma chi contrappone i comportamenti individuali a quelli politici sta sbagliando, chi delega ai comportamenti politici e alle macro-scelte anche le micro-scelte sbaglia lo stesso. Dunque si può incominciare a fare qualcosa, ma bisogna agire come un virus. Niente che non sia virale oggi ha potere di incidere. Dobbiamo essere come i batteri, come i virus, a seconda del modello che si vuole seguire. Nel medioevo bastava osservare una regola: facevi il monaco, dovevi solo scegliere se essere benedettino, francescano o altro. Di sette ce ne sono anche adesso, ad esempio ci sono quelle che incidono sui comportamenti alimentari – chi per sottrazione si dichiara vegetariano, chi vegano, chi fruttariano… però se questi comportamenti individuali, che spesso nascono da pulsioni etiche o virtuose, si fermano a quello, se tutto sommato io mi accontento della situazione perché penso che tanto non cambierà niente (“almeno cambio per me”), sono un adulto piccolo. Questo comportamento può essere necessario a chi sta crescendo e sta cercando la sua strada, ma se da adulto ti accontenti, se rinunci ad essere parte di un corpo più grosso del tuo, se la dai per persa, sei già un vecchio senza essere diventato un adulto.

Nello spettacolo Sani! c’è tanta musica, e avendo la musica sempre accanto alla sua voce uno si rende conto che c’è una certa musicalità anche nella voce.

Quando si cerca di insegnare una lingua, gli allievi si distinguono tra quelli che continuano a parlare la propria lingua solamente usando parole diverse, e quelli che invece cambiano musica, perché ogni lingua ha la sua musica. Se tu fai un mestiere come il mio, fondato sul parlare, se non senti le musiche come fai a farlo? Ci sono quelli che parlano l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il russo senza mai cambiare musica, magari sono bravissimi e conoscono molto meglio di me le grammatiche, ma senti sempre la loro lingua madre dentro a quello che fanno, come se non se ne fosse mai andata. Ecco, chi fa così è stonato, e se fai un mestiere fondato sull’oralità non puoi essere stonato. Cambia mestiere. Fai il mimo.

Nello spettacolo Sani! Lei propone di formulare un progetto che non si fermi al futuro prossimo, che riguardi soprattutto la prossima generazione. Non le pare che dagli artisti, in molti casi, di questo progetto arrivi solo la richiesta, senza nessuna proposta in merito?

Bisogna anche avere consapevolezza del proprio ruolo e dei propri limiti. E poi io diffido dei progetti individuali. In questo caso si tratta di progetti condivisi, nei quali devi fare riferimento a una rete di persone, di competenze diverse. Ci sono realtà che si muovono, lo scenario non è piatto. Per esempio nello spettacolo Sani! in cui si parla, in buona sostanza, di un progetto di mondo per i nostri figli, che sia sostenibile, ci sono piccole cose alle quali ti devi attaccare, cose che devi studiare per capire che strada prendono… sono come piante messe giù fragili: alcune potrebbero crescere bene, altre no, vanno tenute d’occhio. Ad ogni modo io so di non essere così bravo a fare il capofila, non voglio fare il progettista. Se serve un carpentiere lo faccio volentieri, però tendenzialmente mi riesce bene raccontare con le parole una cosa che stiamo facendo, che qualcuno sta facendo e che in qualche maniera sento di fare anch’io, se la racconto. È anche quello un modo di fare il carpentiere. Basta non fare troppi castelli in aria.

Molti ragazzi, nostri coetanei, sostengono che sull’ambiente si facciano solo castelli in aria, tanti discorsi e buone intenzioni, ma che in fondo nessuno proponga o faccia effettivamente qualcosa. Cosa risponderebbe lei a queste persone?

Un giovane della vostra età che dice una cosa così cinica… beh, quando arriverò alla vostra età spero di non esser così cinico, dai. È un discorso di una superficialità che fa torto a chiunque lo faccia. Nessuno di noi guardando la superficie vede quello che c’è veramente. Questo paese per esempio in superficie è pessimo, quello che viene rappresentato è insopportabile; ma io, quando lo attraverso, è come se notassi in una realtà che non è quella che appare nei media. A volte è peggio, a volte insospettabilmente è meglio. Specialmente alla vostra età è importante non farsi uccidere dal realismo, perché il realismo è la percezione delle cose che deriva dalla superficie, è come guardarsi allo specchio: alla prima occhiata nessuno di noi ama quello che vede riflesso. Bisogna imparare ad osservare, altrimenti non riusciremo mai a vedere cosa c’è dentro i nostri corpi, che potenziale abbiamo. Chi racconta, chi fa i famosi ‘discorsi’ parte da dettagli, da piccole realtà embrionali: il mio immaginario non è fantascienza, non è distopico, parte da piccole cose interessanti. Se non le trovassi finirei anch’io per spegnermi, e parole che userei, la musica che suonerei sarebbe una marcia funebre.

 

di Sophia Di Mella, Caterina Leonardi ed Emil Negri per il Saggiatore, il giornale scolastico del liceo scientifico G. Galilei di Perugia

Biografia

Emil Negri nasce a Perugia il 7 maggio del 2004. Con alle spalle un roseo percorso scolastico, attualmente (2022) frequenta il quinto anno del liceo scientifico G. Galilei di Perugia e dirige il giornale scolastico mensile dell’Istituto. Assieme alla redazione del giornale ha condotto diverse interviste e partecipato al Festival del Giornalismo di Perugia con l’evento “Dal taccuino allo smartphone”. Appassionato di filosofia, teatro, arte e scienza e sempre motivato dalla propria curiosità, vorrebbe lavorare nel mondo della divulgazione e dell’informazione, ricordandosi sempre di viaggiare il più possibile.

Articoli simili

You don't have permission to register