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Andrea Zanzotto: il poeta senza tempo di Pieve di Soligo. Intervista a Maria Grazia Calandrone

Nell’economia della parola, limpida, diretta, acuminata, Maria Grazia Calandrone svela l’immensità della vita consegnandoci immagini capaci di restare nella memoria del lettore per la loro forza e la loro energia. Lo abbiamo visto nella poesia e nella narrativa, in quest’ultima un lirismo che risente della voce poetica. Conversare con Calandrone delle vertigini della lingua è un piacere che va al di là della pura immersione nel fatto linguistico. E’ conoscenza, è confronto, è scavo nella bellezza della parola scritta.

Ho avuto occasione di incontrare Maria Grazia Calandrone nell’ultima edizione di Umbria Green Festival nella serata dedicata a Andrea Zanzotto. Con lei, è stato tratteggiato un dipinto del poeta senza tempo di Pieve di Soligo, uomo  continuamente proteso verso una dimensione altra. Lo scorso anno è stato dedicato al centenario della nascita di Zanzotto e noi abbiamo voluto ricordare, nuovamente, questo poeta della parola attraverso la voce di Calandrone che della parola ha fatto la sua ragione di vita.

 

La poetica di Andrea Zanzotto sembra essere ancorata alla memoria da cui trae forza per guardare al futuro. La sua parola è protesa in avanti. Come si sposa la tua ricerca letteraria a quella di Zanzotto?

Zanzotto mi sembra uno di quei poeti che vive nel senza tempo, tutto quello che attinge dal passato lo rilancia. È onnivoro e onnicomprensivo e in questo, con totale immodestia, dico un po’ somiglia a me, anche io sono onnivora e onnicomprensiva e quello che mi affascina di lui è il suo scavo nel linguaggio cioè il suo guardare le parole come se fossero degli oggetti. Questa è una cosa che mi sembra straordinaria della poetica di Zanzotto. I testi scelti per l’omaggio a Zanzotto (serata Iperzanzotto all’anfiteatro a Carsulae in occasione di Umbria Green Festival 2021, ndr) sottolineano proprio questo: le parole di Zanzotto sono sassi in un campo d’erba, cose solide, sono anche oggetti naturali, è come se lui avesse una tale fiducia nel linguaggio da considerare le parole oltre che un mezzo di trasporto proprio degli oggetti della natura e questo rappresenta per me una lezione straordinaria.

 

Andrea Zanzotto e Dino Campana. Nel 2019 è uscita per Ponte alle Grazie l’antologia da te curata e dedicata a Dino Campana, Preferisco il rumore del mare. Anche Andrea Zanzotto si è accostato a Dino Campana (Il mio Campana, a cura di Francesco Carbognin, Clueb, 2011). Cosa ci puoi dire di loro due e di questa comune immersione (tua e di Zanzotto) nella poetica di Campana?

Zanzotto e Campana. Li accomuna una follia sana che porta ad essere entrambi assolutamente eversivi nel linguaggio. Su questo apro una parentesi per spiegare che con Campana c’è stato un grande fraintendimento sulla sua figura umana, perché Campana era semplicemente un ribelle che non si adattava all’ipocrisia piccolo borghese del suo paese, quindi, è stato condannato come se fosse pazzo ma non era pazzo. È stato etichettato come tale, allo stesso modo di Alda Merini… insomma tutte queste etichette che vengono date alle persone che si discostano in un qualche modo dalla maggioranza. Zanzotto è differente nel senso che lui ha sofferto del suo essere laterale rispetto all’esistenza quindi un aspetto che lui attribuiva a se stesso (a differenza di Campana che ne faceva un vanto). Per Zanzotto questo suo sentire era vissuto come una sofferenza ma nel linguaggio ha osato di più di quanto abbia osato Campana. Dino Campana ha osato nel ritmo mentre Andrea Zanzotto ha frantumato la lingua, l’ha fatto esplodere e quindi si può dire che ha riversato tutta la sua parte di follia asmatica nel linguaggio.

 

Leggendo Andrea Zanzotto mi accorgo di essere difronte a una lingua che si dissolve nel corpo.

La lingua di Zanzotto è una lingua fisica, fisica nel senso scientifico e nel senso corporale. È una lingua che diventa materia quindi in questo senso si può anche intendere che la sua lingua si scioglie nel corpo nel senso che è corpo che diventa lingua ed è lingua che torna a essere corpo. C’è sicuramente, per il principio dei vasi comunicanti, una comunicazione continua tra il linguaggio e la materia all’interno della poesia di Zanzotto.

 

Quando Andrea Cortellessa ti ha coinvolta in questo progetto di commemorazione di Andrea Zanzotto cosa hai pensato e come hai vissuto questo i momenti che hanno preceduto la serata di Iperzanzotto in relazione ai tuoi progetti di scrittura attuali e futuri?

Tendo ad occuparmi di quello che mi sembra bello e la lingua di Andrea Zanzotto mi sembra veramente una finestra sul mondo di conoscenza continua e di continua scoperta. Quando dico che è una scoperta intendo proprio il fatto di aver letto più volte i testi scelti per l’omaggio a Zanzotto e ogni volta scopro qualcosa di nuovo, ogni volta sono diversi. La poesia di Zanzotto è una poesia metamorfica è inesauribile e questa è una qualità precipua della sua scrittura. E mi sono sentita orgogliosa e onorata di essere stata coinvolta in questo progetto.

 

Se ti chiedessi di accostare un quadro (o un pittore) alla poesia di Andrea Zanzotto quale (o chi) sceglieresti?

Penso a J. H. Füssli e F. Bacon per la figura cambiata dalla contemporaneità, la figura sottoposta anche ai suoi incubi, la figura trasfigurata dalla storia. C’è una forte malinconia in Zanzotto, la malinconia del tempo perduto però rilanciato, come dicevamo al principio, in un tempo futuro. A questo penso coniugando la poesia di Zanzotto a Füssli e Bacon. Poi, restando sempre nel campo dell’immagine, non si può non ricordare che lui ha lavorato con Fellini. Tra i brani che ho scelto per la serata Iperzanzotto c’è un pezzo rappresentativo, quasi pornografico, omaggio al corpo femminile quindi un testo che sembrerebbe discostarsi da quanto sto affermando.

 

Perché hai scelto proprio questo brano?

La scelta è motivata dalla questione delle donne afgane. Mi piaceva fare un omaggio per la voce di Andrea Zanzotto, un omaggio al femminile. Gli altri tre brani sono una filastrocca da Dietro il paesaggio di un Zanzotto trentenne che è già stato attraversato dalla morte, dalla perdita delle sorelle e la sua malinconia è attraversata dalla rima, mi piaceva infatti mostrare Zanzotto in rima. Concludo con due testi da Il galateo in bosco (nel mezzo ci sarà anche qualcosa di mio come mi è stato chiesto da Andrea Cortellessa) che rappresentano il puro piacere dello scavare nella lingua. Quindi iniziamo con un omaggio al femminile e concludiamo con un omaggio all’esistenza.

 

Maria Grazia Calandrone è poetessa, scrittrice, giornalista, drammaturga, artista visiva, autrice e conduttrice Rai, scrive per «Corriere della Sera» e tiene laboratori di poesia nelle scuole e nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri di poesia tra cui: La scimmia randagia (Crocetti 2003 – premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier 2005), La macchina responsabile (Crocetti 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti 2010 – premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle 2010), La vita chiara (transeuropa 2011), Serie fossile (Crocetti 2015 – premi Marazza e Tassoni, rosa Viareggio), Gli Scomparsi (pordenonelegge 2016 – premio Dessì), Il bene morale (Crocetti 2017 – premi Europa e Trivio), Giardino della gioia (Mondadori 2019). Nel 2021 Calandrone pubblica il romanzo Splendi come vita (Ponte alle Grazie), semifinalista al Premio Strega 2021.

 

Biografia

Sara Durantini (San Martino dall’Argine – Mantova, 1984) consegue la laurea magistrale in lettere moderne presso l’Università degli studi di Parma nel 2009. Vincitrice dell’edizione 2005-2006 del Premio Tondelli per la sezione inediti con il lungo racconto L’odore del fieno, nel 2007 pubblica il suo primo romanzo, Nel nome del padre, con la casa editrice Fernandel. Da oltre dieci anni scrive articoli per riviste letterarie online e cartacee. Dal 2011 cura il blog letterario corsierincorsi.it. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in diverse antologie collettive fra cui Quello che c’è tra di noi, a cura di Sergio Rotino (Manni Editore, 2008), Dizionario affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta (Fandango Libri, nell’edizione 2009 e 2019), Orbite vuote, a cura di Marco Candida (Intermezzi Editore, 2011), oltre ad un approfondimento su Massimo Bontempelli accolto nel saggio L’unica via è il pensiero a cura del professore Hervé A. Cavallera (Intermedia Edizioni, 2019). Nel 2021, Sara Durantini ha pubblicato L’evento della scrittura. Sull’autobiografia femminile in Colette, Marguerite Duras, Annie Ernaux per la casa editrice di Milano 13 lab Editore.

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