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Ecofemminismo e giustizia climatica: una sfida di resistenza e resilienza

Sostenere l’Ecofemminismo significa, oggi più che mai, promuovere la giustizia climatica.

La sostenibilità ambientale è, infatti, strettamente collegata ai diritti umani e, in un’epoca di emergenza come quella che stiamo vivendo, diventa fondamentale salvaguardare ambiente e comunità fragili, in un’ottica di condivisione degli oneri e dell’impatto del clima sui contesti umani che sia il più possibile equo e giusto.

Ecco perché l’Ecofemminismo, strettamente connesso all’etica ambientale, è una corrente di pensiero fondamentale, che finalmente pone al centro della propria riflessione sia la questione di genere che quella di suddivisione del dominio di potere che si attua in ogni approccio di protezione dell’ambiente e dei contesti che lo abitano.

Il legame esistente fra lo sfruttamento del pianeta e la cultura patriarcale che lo attraversa in lungo e in largo è innegabile. La proprietà, tutta maschile, dei terreni, nonché il land grabbing, ovvero la lotta per l’accaparramento delle aree e delle risorse, continuano ad avere importanza per la costruzione di una leadership di potere economico che resta appannaggio del genere maschile, che la interpreta, la costruisce e decostruisce in larghissima parte del mondo. Va da sé, infatti, come il concetto culturale di ambiente inteso esclusivamente come strumento di produzione di guadagno sia fortemente connesso con lo sfruttamento, il degrado e la diseguaglianza di genere.

Un tema che oggi è più che mai attuale, anche se il lemma Ecofemminismo risale al lontano 1974, quando Françoise d’Eaubonne lo coniò riprendendo gli ideali di un movimento di empowerment femminile connesso alla trilogia sessismo – abuso delle risorse – sfruttamento delle stesse e degli animali.

Già allora si poneva la questione del degrado naturale come concetto interconnesso alla situazione svalutativa e svalutante della donna, prima vittima di tutte le crisi: sociali, economiche, ambientali ed oggi anche climatiche.

La storia ci ha poi posto al bivio di due correnti di pensiero ecofemminista ben differenti: l’una volta ad intendere l’identità femminile in quanto entità in stretto rapporto con la natura, sia in termini biologici che ontologici; l’altra – costruttivista – che analizza in maniera olistica le condizioni storiche ed economiche che si sviluppano in ogni arena sociale. E che, personalmente, ritengo maggiormente utile anche ai fini metodologici e di dimostrazione scientifica, allontanandosi da una sorta di misticismo classico rivolto più agli idealismi che all’attuale e concreta situazione della donna nel mondo.

Oggi, parlare di femminismo ed ecologia è ancora necessario, e diventa proprio fondamentale perché è su questo terreno che si gioca il nostro futuro: delle comunità e del pianeta che le ospita.

Comprendere quanto l’emergenza climatica non sia esclusivamente una questione ambientale, ma soprattutto sociale, è una responsabilità culturale che dobbiamo prenderci tutti. Così come aver ben presente il ruolo delle donne significa percorrere con intelligenza la strada principale per giungere ad una salvezza che altro non sarà se non resiliente.

In molta parte del pianeta l’Ecofemminismo è, oggi, più pratica che teoria.

Le donne Temiar con le quali lavoro in Malesia, ne sono testimonianza e rappresentazione. Sta in capo a loro la ricostruzione culturale del post disastro dovuto ai cambiamenti climatici, ma non è a loro che è stata volutamente consegnata la responsabilità di salvaguardare l’ambiente ancestrale nel quale la comunità sopravvive da sempre. É accaduto che quella responsabilità se la siano conquistata con intelligenza, ed abbiano soltanto in seguito, attraverso la pratica e l’esperienza vissuta, compreso come l’Ecofemminismo sia strumento prioritario e principale anche per l’avvio di un percorso di resilienza e di libertà che riguarda il loro destino.

É, infatti, proprio la categoria della resilienza ad aver acquisito, negli ultimi anni, un ruolo preminente rispetto a quella della vulnerabilità, sua complementare, nel panorama di discussione sul post disastro dovuto ai cambiamenti climatici. La retorica della catastrofe come occasione di sviluppo è diventata, così, nel pensiero femminista, occasione di costruzione culturale, ribaltandone totalmente portata ed equilibri sociali.

Se il tempo del post disastro ha sempre narrato la catastrofe come una finestra di opportunità, ovvero una occasione per la ridefinizione di rapporti di potere e livelli di governance (circolazione di informazioni e competenze, partecipazione alle decisioni pubbliche, distribuzione diseguale nell’accesso alle risorse, indifferenza verso la riduzione della marginalità), allora l’Ecofemminismo può oggi avere la forza di scombinare i piani e diventare pratica nella capacità di utilizzare ogni strumento culturale per costruire empowerment femminile e prestigio sociale, accorciando le disparità all’interno delle gerarchie comunitarie. Ma può anche – ed è questo il punto che deve interessare tutti – divenire una forza educativa e formativa senza precedenti.

Le donne Temiar, in quanto target di riferimento dei corsi di protezione civile approntati dal governo malese, sono diventate le principali formatrici e i punti di riferimento della comunità che abitano, in una catena di resistenza e resilienza che contribuisce a costruire cultura e leadership femminile insieme. Sono loro a detenere un know – how riguardante gli strumenti di protezione dell’ambiente e salvaguardia delle abitazioni, essendo la parte più stanziale della famiglia, ma non si sono affatto limitate ad acquisire le competenze che la cultura patriarcale governativa ha loro concesso. Hanno, invece, imparato a selezionare e rielaborare le conoscenze e ne stanno facendo gli strumenti culturali necessari anche, e soprattutto, a porsi nell’arena politica e sociale con la forza delle loro richieste e l’avanzamento dei loro diritti. E – ne voglio sottolineare l’importanza – nel farlo stanno costruendo cultura utile ad appianare le diseguaglianze sociali e, di conseguenza, a salvarci tutti insieme.

Nasce, quindi, proprio con l’Ecofemminismo, l’elemento cardine fondativo di ogni azione di rivalsa di genere, ed insieme a questo si avvia la spinta di quel processo di antropopoiesi che è sempre occasione di rinegoziazione della posizione della donna nell’arena politica glocale. Laddove glocale significa agire localmente pensando globalmente, non più esclusivamente al maschile.

Ma anche di quel processo di ricostruzione culturale della percezione del rischio che diventa fondamentale, una volta introiettata nella comunità, per invertire la marcia, cambiare habitus sociale e salvaguardare davvero l’habitat naturale.

Biografia

Silvia Grossi (Pavia, 1973), antropologa ed etnografa, è autrice del romanzo L’ultimo respiro del sole (Laurana Editore), insignito del Premio Speciale Fontamara al XXV Premio Internazionale Ignazio Silone 2022 e Finalista al Premio Demetra dell’Elba Book Festival 2022. Ha pubblicato numerosi saggi, tra i quali: Polvere e sangue a Kathmandu e C’è il mare in città (Primiceri Editore, Padova, 2016, 2019). Ha, inoltre, tradotto grandi classici della filosofia e dell’antropologia. Collabora con riviste nazionali di viaggi e cultura e con Enti di cooperazione internazionale. Mercoledì ti ucciderò è il suo primo romanzo giallo.

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