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Cop 29: troppo poco, ma non troppo tardi per un nuovo agire ambientalista

La Cop 29 finisce con il laconico ma molto condivisibile “troppo poco e troppo tardi” del presidente kenyano del gruppo dei negoziatori africani Ali Mohamed, mentre Tina Stege, in rappresentanza delle Isole Marshall, accusa le “lobby del fossile” di aver “bloccato i progressi”, ma aggiunge speranzosa “abbiamo ottenuto qualcosa per le nostre comunità” e l’indiano Chandni Raina attacca “l’importo proposto è pietosamente basso, è ridicolo”.

Tre voci di Paesi realmente in via di sviluppo, fra quelli inseriti nella categoria dei poveri da finanziare in quanto più minacciati dagli effetti del cambiamento climatico. In tutto 45 Paesi, con la Cina inclusa perché ancora inserita in elenco, a dimostrazione delle innumerevoli contraddizioni di Cop 29.

300 miliardi all’anno, per un totale di dieci anni ma a partire dal 2035: questo l’accordo applaudito fra i malumori nella notte di chiusura dei negoziati che si sono svolti a Baku.

Un risultato che fa emergere la polarizzazione mondiale in tutta la sua realtà; da un lato un accordo raggiunto nonostante le premesse non fossero delle migliori, dall’altro lato i malumori di chi si sente tradito nelle aspettative.

Al centro, ed è la situazione che impensierisce di più, la mancanza di visioni nuove, di una militanza green che possa veramente contrastare i continui tentativi di affossare la Cop stessa, agiti attraverso azioni costanti di malcelato greenwashing.

A Baku si è raggiunto il compromesso massimo sulla finanza, ma la strada verso una necessaria e ormai urgentissima transizione verde è stata ogni volta ostacolata dagli interessi di Arabia Saudita, Russia e altri Paesi legati alle fonti fossili.

L’accordo, visto dall’Italia, è stato definito “pessimo” da Legambiente e anche Wwf Italia ritiene che non sia arrivato un “segnale forte sulla riduzione delle fossili” ed anche per Italian Climate Network è stato difficile e quasi impossibile ma “limitato”.

Serve, ora, che le banche multilaterali di sviluppo si trasformino in istituti d’investimento per il clima, serve di camminare con un nuovo passo.

Serve di agire una nuova militanza, prima ancora di negoziare.

Gli occhi non possono che essere puntati verso il Brasile e le altre ‘piccole amazzonie del pianeta – come mi piace definire i contesti in cui la resistenza ambientale è attiva anche attraverso l’ecofemminismo, pur essendo meno visibile sul palcoscenico comunicativo mondiale – dove l’agire ambientale si è fatto già in passato sistema necessario e voce ascoltata.

Biografia

Laureata con lode in Scienze antropologiche ed etnologiche all’Università Bicocca di Milano è Antropologa ed Etnografa orientalista e svolge ricerche etnografiche nel contesto geopolitico dell’Asia meridionale e del Sud-Est Asiatico a fianco di Enti di cooperazione internazionale.
In Italia dirige l’Umbria Green Magazine associato all’omonimo Festival e la Scuola Sperimentale di Scrittura Elsa Morante, un progetto itinerante sui territori che fa capo a Libri dell’Arco.
Autrice del romanzo “L’ultimo respiro del sole” (Laurana Editore) è stata insignita del Premio Speciale Fontamara, XXV Premio Internazionale Ignazio Silone 2022 ed è stata Finalista del Premio Demetra per la narrativa green all’Elba Book Festival 2022.
Il suo romanzo è stato registrato anche in versione Audiolibro per Audible Studios con la voce di Lucia Valenti.
Ha pubblicato numerosi saggi, tra i quali: Polvere e sangue a Kathmandu, La strategia del gambero verde e C’è il mare in città (Primiceri Editore, Padova, 2016, 2018, 2019).
Ha, inoltre, tradotto Grandi Classici della letteratura e della saggistica antropologica, tra i quali: Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini di Rousseau, Discorso sul metodo di Cartesio, Trattato sulla tolleranza di Voltaire (Primiceri Editore, Padova, 2019, 2020), Crimine e Costume nella società selvaggia di Malinowski (Morcelliana, 2020), Il piccolo Principe (Libri dell’Arco, 2023).
Attualmente è in libreria con L’Isola di Elsa (Libri dell’Arco), vincitore dell’Omaggio a Elsa del Premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante.
Oggi vive in provincia di Pavia, ma ha vissuto a lungo in Nepal, Thailandia, Malesia e Indonesia.
In collaborazione con Enti di cooperazione internazionale, si occupa delle seguenti aree tematiche: Antropologia dei disastri ambientali e ricostruzione identitaria; Antropologia delle religioni e identità politica; Soggettività e diritti umani; Ricostruzione identitaria post colonialismo.
In particolare, ha svolto ricerche antropologiche sul concetto di spaesamento identitario, costruzione culturale del rischio post disastro e sul concetto di resistenza e resilienza delle comunità che hanno subito danni strutturali e sociali. La sua osservazione è sempre rivolta alla relazione che intercorre fra la comunità vittima del disastro e l’identità di luogo.
Dal 2007 lavora principalmente a fianco degli aborigeni Temiar, una minoranza etnica facente parte della grande famiglia degli Orang Asli del Kelantan, Sultanato situato nella Malesia nord-orientale.
Alle sue ricerche sul campo e al suo impegno etnografico a fianco delle popolazioni che operano una vera e propria resistenza ambientale in contesti di fragilità estrema è stato recentemente dedicato un capitolo del saggio “Sfumature di verde” di Paola Turroni (Laurana, 2022).
Madrelingua italiana, parla e scrive anche in giapponese (hiragana, katakana e kanji), francese, inglese, indomalese.

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