
DIO O IL SOLE di Marisa Zepparelli – Capitolo III
CAPITOLO III
FIONDE E GERANI
A mezzogiorno, il sole è lo stesso in cima al cielo. La luce gonfia i binari e le scale di ferro del granaio, sui panni stesi fa un bell’effetto.
La nonna brucia sul gas la pelle di un cappone, che s’inasprisce in una puzza maledetta. Mara immagina quell’odore quando Anna racconta di nascosto dei forni in Polonia. La maestra non ne parla mai.
La nonna continua a bruciare il cappone sul gas girandolo da tutte le parti e quando gli brucia il culo, la testa pende con gli occhi semichiusi.
Apparecchia.
Carlo entra col secchio pesante e Pallino gli guarda le spalle:
Buh!
Non si ferma in cucina, ma scompare nel buco per uscirne qualche minuto dopo coperto di sudore.
Con te fo i conti – dice.
Mara!… Apparecchia.
Fammi vedere.
No!
Guarda che papà arriva e non aspetta. Mara!
Carlo depone sulla tavola le sue ranocchie vive e nonna e nipote quasi ammattiscono nel tentativo di catturarle. Improperi irripetibili.
Poi Mara lentamente spiega la tovaglia. L’odore di carne bruciata la intontisce. La canzone dell’acqua le ha fugato i pensieri e non vuole di botto ripiombare dentro il giorno che è quasi il penultimo.
Hai finito col cappone?
Guarda quant’è grosso!
Che schifo!
Prima fa schifo e dopo invece no. Adesso andiamo dai piccioni.
Gli prepari lo stesso trattamento?
Li portiamo fuori.
Nello stanzino cieco c’è una novità: la conca quasi piena d’acqua.
Sembra di più quest’acqua – dice la nonna. – Be’, meglio. State buoni ché vi porto al fresco… Piglia quello.
Sbatte le ali che non riesco a prenderlo.
Le zampe so’ legate.
E dalla paura ha fatto la cacca, guarda…
Dopo si pulisce, via! La gabbia è dietro la conca. Alzala… così.
E secondo te posso reggere la gabbia col piccione, più ne reggo un altro di qua?
Appena entra … ‘sto stupido… la reggo io.
Gli hanno fatto quattro ali…. oh!
Mara infila il suo nella gabbia che la nonna tiene sollevata e i piccioni cominciano a puntare il becco in ogni direzione.
Pallino e il fratello confabulano su un segreto e l’arrivo della gabbia non li turba; gli animali impacchettati al cane non dicono niente perché lui ama le corse e le prede che scappano.
Papà cammina all’altezza del fico e quell’assembramento insolito lo insospettisce:
Che c’è?
Pallino gli va incontro con la coda in festa:
Adesso si mangia!
Stamattina Sandro s’è tagliato mezzo dito… – comincia a raccontare papà.
Papà – dice Carlo – ho chiappato sette ranocchie e quindici pesciolini!
So’ contento, bravo!… L’hanno portato all’ospedale ma prima s’è scontrato col caporale…
Entra ch’è pronto – dice la nonna. – Sandro dell’Elsa?
Sì.
Lo sai papà che ho preso una ranocchia grossa? – tenta di raccontare anche Mara.
Tutti a pesca, oggi. Di’ alla nonna se la frigge.
Sì, la frigge! – dice Carlo. – Sta nel fiume un’altra volta!
Non litigate, su su! Una in più una in meno, che differenza c’è, mica sono pollastri… La mamma torna a pranzo?
Dopo l’una.
Le peschiamo domenica, papà?
Io e Mara andiamo dallo zio, vieni anche tu? – domanda papà.
No, c’è troppa merda.
Stanotte vo a pesca d’anguille – annuncia il babbo.
Se entrano loro, fuggo da casa! – grida la nonna.
Vengo io a farti compagnia, papà – si offre Carlo.
Siamo tutti grandi e andiamo al Tevere.
Il portone fa IUUK ed entra la mamma col solito odore di tabacco. Non si ferma sulla porta della cucina ma va dritta al buco, poi si chiude al gabinetto.
Gliel’ha fatta! – dice papà.
Non si discorre tranquilli come prima, si mangia e basta e presto il pranzo è finito e papà va in camera a dar sollievo alla schiena, la nonna sciacquetta perché l’acqua corre.
Mara sparecchia lasciando un solo piatto e la caraffa di vetro con due oche che intrecciano il collo.
Carlo, vicino al posto della mamma, conta i bastoncini che ha fabbricato non si sa quando.
So’ diciotto.
Che ci fai?
Costruisco un recinto intorno ai formicai.
Così le formiche non escono – conclude la sorella.
La mamma entra in migliorate condizioni fisiche e di abbigliamento, ma stanca in faccia e con la chiusura solita, come se qualcuno l’avesse offesa o lo stesse facendo. Non dice una parola e si lascia cadere sulla sedia. Si serve da sola, mentre la nonna comincia a sbrogliare l’acquaio.
Lo sai mamma? – dice Carlo – Dentro casa ci sono sette ranocchie e quindici pesciolini…
Dallo zio ci sei andato, stamattina? – chiede la mamma saltando gli animali.
No, mi sono scordato…
La nonna Sabatina, non ti ricordi? Vo a prenderla alle quattro, domenica.
E dove la porti?
Lei lo sa.
Per non infastidire la mamma, Carlo ammutolisce e intanto osserva la nonna se per caso si muove a controllare la conca, ma lei bada a finire alla svelta.
Mara ha trovato la scopa nel buco e aspetta che sia ora di adoperarla.
C’è stato parecchio lavoro oggi? – chiede la nonna.
Sì. Devo tornarci anche dopo.
Mio figlio lo sa?
Vostro figlio, che sarebbe mio marito, adesso non lo sa, lo saprà dopo.
Loro – obietta la nonna indicando i ragazzi – non hanno compagnia manco oggi….
Potete fare a meno del campo. Io sto sotto al padrone e non mi diverto.
Mara, va’ a svegliare papà, ch’è ora.
Non ci vo!
La nonna le lancia un’occhiata nera e poi si decide lei, ma non tanto alla svelta. Arrivata alla camera, se la chiude dietro.
Mara, ho trovato il mio giornale dentro il tuo comodino – dice la mamma.
Lo legge appena vai via – riferisce Carlo.
Abbassa la vesta! E tra una settimana tagliamo i capelli, ch’è ora!
No! – grida Mara – Qui intorno so’ corti, vedi?
Il rasoio della parrucchiera la pizzica sempre, ma lei tiene la bocca cucita, sennò la mamma s’arrabbia e dice alla parrucchiera, tra un discorso e l’altro, che i capelli della figlia dalla testa rada hanno bisogno di rinforzo. Da piccola, Mara rideva in braccio alla mamma e diceva a tutti: – Fo la pemmanente! Anche la gente rideva alla bimba cui tagliavano sempre i capelli, perché nata con piumine alla testa.
Mara tiene in mano le ciocche appena morbide, che alla toletta e perfino allo specchio grande le fanno una testa bella. Non ha mai chiesto alla parrucchiera di farglieli come Anna, ma alla prossima glielo chiederà. Spera sempre di uscire dal negozio con la testa grande, per nascondersi dietro ai capelli, quando la mamma la presenta a persone sconosciute:
Saluta: di’ buongiorno… Mara si vergogna… Su, di’ buongiorno, mica ti mangiano!
…
Ieri mattina non voleva entrarmi in chiesa, dice che il Signore s’annera dietro all’altare … Tutte le studia! Mangia poco… ma il dottore dice che è in salute… Ho tribolato per sgravarmi che a momenti muoio, l’ostetrica m’è salita sul corpo e ho avuto un mancamento, la figlia ha faticato a piangere… Si tira sempre indietro: pare nata infelice, e qualche volta non gli escono le parole. Ma a casa è una speperina! Saluta, di’ buongiorno!
Mamma, a che ora sono nata?
Non mi ricordo.
Mara decide che la settimana dopo non taglierà i capelli, però non bisogna dir niente perché la mamma è stanca, lavora dalla mattina alle cinque per far mangiare tutti, anche se a Mara importa poco. Se continua a pulire con quell’idea, non se li taglierà, ma non bisogna girarsi, fare attenzione per terra, dimenticare la faccia della mamma che aggrotta gli occhi e spalanca la bocca.
Anche al cimitero la mamma ha gli occhi concavi e la bocca stretta; sulla ghiaia cammina come schiacciasse le nocciole.
Mara crede che tra la ghiaia e le facce sulle tombe, quando ci va con la mamma che però al cimitero è seria e basta e non spaventa nessuno, ci sia un legame e anche tra i passi e le ossa dei morti. Le pare di stare dentro una rete di scambi cordiali che non hanno bisogno di spinte per manifestarsi. Una stessa vita, fuori e dentro. Chi si trova dentro, sente le persone arrivare, la ghiaia suonare crik-crok. Può darsi lunedì si troveranno insieme, a scoprire la vita comune, che Mara già conosce. Bisogna però tenere l’idea dei capelli anche se lunedì scoppia la Luce, così se non succede niente, dirà a Valentina: – Voglio una testa grande!
La mamma, con voce simile al rumore del ferro, dice:
La frangia ti copre gli occhi, non lo vedi? E sopra gli orecchi, sembrano tagliati con la falce. Ci parlo io con Valentina, e stavolta per un pezzo non ci sarà bisogno di discutere. Te n’approfitti perché non ho tempo! Non ti vedi allo specchio? O vuoi sembrare una contadina che non si lava mai?
Quest’ultima cosa la mamma la dice contro la nonna, che invece sta sempre in mezzo all’acqua. Solo perché non bada ai vestiti e porta i sinali logori. Ma quando si cambia, la nonna è meglio di una signora, perché tiene la borsa disinvolta ed è la borsa a farle dimenticare le scarpe.
Papà sporge la testa in cucina, rimanendo in corridoio col resto:
Sicché dopopranzo lavori…
Pensi che ci fo le corse?
Iersera i seccatoi erano pieni…
Ma stamattina l’hanno vuotati e lunedì c’è un altro carico: nei campi il tabacco ammuffisce.
A che ora torni?
Se vieni al seccatoio, lo vedi.
Ogni giorno una musica nova… Stanotte vo al Tevere.
Fai bene, non c’è pericolo che viene la piena.
Mamma, domani nella pozza dell’orto ci vieni a vedere le anguille? – dice Carlo tutto d’un fiato.
Ma la mamma cerca di risolvere il problema della patina di colla che le segna le gambe:
Vedi che bisogna fare per vivere? E manco so’ contenti!
Devo andare via. – dice papà.
Poco dopo anche la mamma parte, ma prima si rimette i vestiti che danno sul verde-marrone, con quell’odore di tabacco che li fa quasi da signori.
Tutta la casa è di nuovo nel silenzio delle tre, come se qualcuno avesse soffiato forte per spedirne gli abitanti ai quattro punti della terra.
Mara si sforza di dormire nella camera quasi buia ed è stufissima che solo per lei valga quel dovere, come se si potesse dormire per forza. Se l’obbligo contasse anche per suo fratello, potrebbe chiudere un occhio, ma Carlo raramente si stende a dormire:
Come si fa, co’ ‘sto caldo?…
Col sole dormono i morti le cui fotografie non hanno contorni e portano una nebbia della stessa sostanza dell’anima, può darsi. E questo vuol dire – per via anche degli occhi distanti – che i morti si trovano in una condizione di mestizia, la parola mezza cattiva e mezza buona che Mara sente dalla bocca del prete.
Sopra il comodino a sinistra non c’è luce, perché papà non ha cambiato il filo incendiatosi un mese fa. Per la strada del filo, gli scoppi hanno annerito il muro, che adesso non è tutto bianco: dal filo al soffitto salgono pennacchi nocciola lungo una linea quasi diritta…
E dove il filo fa il ponte, la linea si interrompe. Lì cadrà il convoglio, per fortuna con una miseria di morti. Chi ha progettato il vagone se n’è fregato dei bambini, che infatti non stanno mai seduti, cane maiale! Perciò, dal convoglio caduto dove non c’è la linea, i bambini volano dal finestrino sulla nuvola e le mamme li cercano ma non li trovano e bisogna trovarli prima che tornano i papà. Mancano ventidue più ventiquattro ore, ma se non si arriva a cinquanta non si vince una pipa e allora è più meglio se scoppia la Luce…
Il portone s’apre da solo… e questo è un segno, può darsi. Fuori però c’è un borbottio come di gruppo che almanacca birbonate.
Chi è?
Nessuno perde tempo a rispondere, finché un sasso fiondato non scuote un battente del portone.
Volete spaccare la casa?
Sempre loro! Spadroneggiano sulla strada. Se hanno la grotta di Santa Maria, perché non ci vanno?
Non tirate sassi! – grida la nonna.
Enzo canta la canzone della scuola, e dal ritmo sforzato si capisce che sta caricando:
– BUM!
Stavolta il sasso coglie il geranio di centro e la nonna, che sfoltisce le canne del greppo, piomba come un’aquila sulla banda assassina, che scappa verso il fiume.
Quando la nonna entra con gli occhi di fuori, Mara pensa alla solita storia della tosse.
Di’ alla zia se ti presta la coccia piccola.
Il portone della zia è chiuso e Mara con voce impostata chiama più volte.
Parecchio dopo, la suocera esce dalla tenda gialla.
Dice la nonna se per piacere gli prestate la coccia piccola. La zia è in casa?
Cuce a macchina… ma non so se te la presta.
Zia!
Anna esce in quel mentre dalla tenda gialla:
Oggi non mi serve, basta che domani la riporti: devo doppiare l’ortensia.
Dopo un quarto d’ora, il geranio cambiato di posto brilla nel vaso nuovo: è l’ultimo a destra, per chi sta fuori.
Poi, mezzo metro per volta, la nonna trascina la conca dal buchetto all’acquaio della cucina e allegra si mette a lavare i panni.
Mara legge nella camera del fratello, verso il piazzale della fornace.
È l’ora bella del giorno quando il sole sta ancora sul greppo, ma puntando il luogo dove vuole andare a dormire.
Mara legge di bimbe con la cuffia bianca e pattini ai piedi che volano sul ghiaccio ed è un assurdo con quel caldo. E benché sembri tutto vero, Mara non ci crede. Poi correre sui pattini è un modo più svelto per far entrare le lame del freddo. Non ha mai ricevuto un libro su un fiume d’estate, ma sempre di fiammiferi e fiammiferaie d’inverno, di pattini sul ghiaccio. E se il ghiaccio poi si rompe? Che ne sai, su una lastra larghissima, se lo spessore è dappertutto uguale? Non ha mai visto un fiume gelato…
E può darsi che il fiume non gela perché corre e non fa in tempo, l’acqua gela se sta ferma… e infatti quando ammazzano il maiale, l’acqua dei secchi bisogna romperla.
E siccome non ha mai visto larghe distese di gelo, i libri dei pattini la indeboliscono. Per di più, non sopporta le bimbe incuffiettate: quando la nonna prova a metterle il cappuccio, scappa come il fulmine. Anche le suore escono con le cuffie e in mezzo hanno bocche segnate da pieghe:
Non ridere!
Il fratello fa capolino in cameretta, dopo aver sbattuto e raschiato per il corridoio, che poi uno se n’accorge lo stesso quando entra.
Abbiamo sistemato a Santa Maria, i tronchetti e i mattoni, le pietre… la merda. Però la puzza c’è anche adesso. Domani?
Dopo pranzo. All’entrata della grotta, c’è la porta?
Che non si chiude, s’è rotto il paletto… così arriva l’aria delle querce.
Ti ricordi sotto le querce?
Che?
L’erba e le tate.
Le sceme coi denti fuori!
Seduto, pisciavi sull’erba…
Vi scordavate, stupide!
Alle finestre che ci mettiamo?
Abbiamo levato i vetri rotti, ma ci stanno gli scuri, che quando si chiudono sembra notte. Qualche volta giochiamo alla notte e al lupo che bussa… Adesso vo dai pesci.
Dalla soglia della cucina, Mara vede Carlo fermo dietro la nonna sbuffante, e quando lei si gira, Carlo dice:
Dove hai messo i pesci?
I pesci…? Che pesci?
Stavano qui dentro! – risponde Carlo indicando la conca.
Non c’erano: mica so’ cieca.
E invece sì! Quindici pesciolini che volevo sapere se crescevano…
C’è poco da crescere se non c’erano.
Guarda com’erano – dice il nipote misurandoli con metà indice dall’unghia nera.
E li fai sguazzare nella conca? Lo sai do’ so’ andati adesso?
L’hai ammazzati tutti!
Dentro i panni! Sciacqua, sciacqua! Il babbo se li ritrova in saccoccia!
Tu non compri gli occhiali, no? Se la maglietta puzza di pesce, la taglio con le forbici!
E perché l’hai messi nella conca…? Se ce l’hai messi…
Stamattina so’ tornato in un bagno di sudore ché Mara non m’ha aiutato… e dentro c’erano i pesci.
Dentro dove?
Al secchio.
E perché non ce l’hai lasciati? Ci voleva il mare pe’ ‘ste balene?!
Scansati: può darsi che qualcuno ancora è vivo – dice Carlo strattonando la nonna.
La nonna reagisce mollandogli una sberla per caso proprio sulla bocca: sangue quasi subito, perché la bocca di Carlo è fatta per buttare sangue.
La prima a spaventarsi è la nonna – lui non se n’era accorto – che gli si fa intorno a tamponare la ferita.
Lasciami! Gli animali dell’acqua li ammazzi tutti, anche le anguille a papà!… Ahia… Quando torna mi vede!… Ahia!… Ma stanotte riporta le anguille e le mette nella conca e tu non ci lavi più!
La nonna riesce a prenderlo in braccio, e lui le si rannicchia in grembo, cantilenando un pianto mano a mano più flebile.
S’è addormentato… Ci vogliono i boccatoni, ci vogliono – dice la nonna.
Nonna, un pesce ancora guizza! – strilla Mara.
Potessi sgolarti!
“(…) io non percepivo che
le grandi linee, le più forti (…)”.
Kierkegaard I A 68